La sentenza della Corte di Giustizia europea sul protocollo Italia-Albania accende lo scontro. Per la Corte spetta “a un giudice” la valutazione sui “Paesi sicuri” di origine ai quali rinviare i migranti e nell’elenco non ci può essere un Paese che “non offra a tutta la popolazione una protezione sufficiente”. Il governo, secondo cui “la giurisdizione rivendica ancora spazi che non le competono”, assicura che i centri in Albania “continueranno a operare come Cpr”. Commissione Ue: “Riforma introdurrà nuove misure”
La sentenza della Corte di Giustizia europea sul protocollo Italia-Albania ha acceso un nuovo scontro tra l’Ue e il governo italiano. Secondo la Corte spetta “a un giudice” la valutazione sui “Paesi sicuri” di origine ai quali rinviare i migranti e nell’elenco non ci può essere un Paese che “non offra a tutta la sua popolazione una protezione sufficiente”. Per il governo Meloni, invece, “la giurisdizione, stavolta europea, rivendica ancora spazi che non le competono, a fronte di responsabilità politiche. Così si indeboliscono il contrasto all’immigrazione illegale di massa e la difesa dei confini”. È intervenuta anche la Commissione Ue, che ha difeso la Corte e ha aggiunto: “Il nuovo regolamento sulle procedure di asilo introdurrà nuove misure al riguardo”. Le opposizioni, intanto, attaccano: “Stop al modello Albania”, ha chiesto il Pd.
La decisione della Corte di giustizia Ue
Nella Grande Camera di Lussemburgo, la Corte di giustizia Ue si è pronunciata sul protocollo Italia-Albania. Una pronuncia risuonata come uno stop ai centri di Shengjin e Gjader, dove le autorità italiane trasferiscono i migranti soccorsi nel Mediterraneo e provenienti da Paesi ritenuti sicuri, in attesa di giudizio accelerato sulle loro richieste d’asilo. I togati europei sono stati netti: un governo può designare un Paese terzo come sicuro tramite decreto legge, ma soltanto a patto che quella scelta possa essere sottoposta al vaglio di un giudice. E, fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento Ue parte del Patto per la migrazione, il 12 giugno 2026, nessun Paese può essere considerato sicuro se non garantisce protezione all’intera popolazione.
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L’ira di Meloni
La sentenza ha suscitato l’ira di Giorgia Meloni che – impegnata a Istanbul nel trilaterale con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il primo ministro libico Abdulhameed Mohammed Dbeibah – ha affidato a una nota ufficiale, rilanciata dalla premier sui social, il proprio stupore per la decisione, accusando la Corte di rivendicare “spazi che non le competono” e di consegnare ai giudici nazionali le chiavi non soltanto dei casi individuali ma anche dell’intero capitolo su rimpatri ed espulsioni degli irregolari, prerogativa invece “politica”. Parole condivise dai vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, con il leghista che ha bollato la pronuncia come “dannosa e contro gli italiani”. Dal governo è poi filtrata la rassicurazione che i centri in Albania “continueranno a operare come Cpr, come già accade da alcuni mesi”: a Gjader, infatti, dallo scorso aprile è operativo un centro che accoglie migranti trattenuti nei Cpr italiani, mentre quello per richiedenti asilo a cui si applicare la procedura accelerata di frontiera – oggetto della sentenza – è oggi inattivo.
Tajani: “Un magistrato non può dire se un Paese è sicuro o no”
“Come fa un magistrato a sapere se un Paese è sicuro o no? È un lavoro che noi, come ministero degli Esteri, facciamo attraverso le ambasciate, i consolati. C’è un lavoro certosino. Abbiamo elaborato una lista frutto del lavoro della diplomazia italiana, non è che un magistrato, in un giorno, riesce a dire se un Paese è sicuro. Poi i Paesi devono essere sicuri in tutto il territorio nazionale. E allora neanche gli Stati Uniti lo sono. C’è la pena di morte che è contraria alla nostra Costituzione, contraria al modello europeo”, dice il capo della Farnesina Antonio Tajani. E ancora: “L’Italia rischia di diventare il paese del Bengodi per i trafficanti di esseri umani per gli immigrati irregolari. Questa sentenza certamente cerca di sostituire il potere giudiziario al potere politico. Ma questo è contro qualsiasi principio della democrazia”.
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Le opposizioni attaccano
Non si è fatta attendere la dura replica dell’opposizione. Il Pd, per voce della segretaria Elly Schlein, è tornato alla carica contro i centri albanesi “inumani” e “illegali”, accusando il governo di calpestare “i diritti fondamentali” e d’aver “sperperato 800 milioni” che avrebbero potuto rafforzare la sanità. Severo anche l’affondo del presidente del M5S Giuseppe Conte, che ha imputato alla premier di fare “propaganda vuota e vittimismo strumentale”, sottolineando come “la sentenza fosse prevedibile”. “Meloni sta sprecando in Albania centinaia di milioni di euro del contribuente nonostante i giudici di tutto il pianeta le stiano dando torto”, ha attaccato anche il leader di Iv Matteo Renzi, invitando la premier a “fermarsi”. Mentre agli occhi del deputato di Avs Angelo Bonelli il protocollo “è illegittimo, un fallimento politico, economico e giuridico”.
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La riforma
L’obiettivo di Meloni, ora, sarebbe quello di far passare il prima possibile la riforma europea sui “Paesi sicuri” per limitare l’impatto della sentenza della Corte di Giustizia Ue e mettere in salvo l’operatività del “modello Albania”. La premier, infatti, non recede dai suoi propositi e anzi rilancia: si cercherà “ogni soluzione possibile, tecnica o normativa, per tutelare la sicurezza dei cittadini”. A confermare questa linea sono arrivate anche le parole del ministro degli Esteri Tajani, che ha parlato di “una sentenza che non convince per nulla” ma che avrà “effetti molto brevi e durata limitata”. La riforma in questione, avanzata dalla Commissione europea lo scorso 20 maggio, modifica – ampliandolo – il perimetro attuale di “Paese d’origine sicuro”, puntando a “ridurre la pressione” sui sistemi di ricezione. Tra i risvolti pratici: la possibilità di espellere più facilmente i richiedenti asilo (anche verso Paesi non europei) e una maggiore discrezionalità per i 27 di stilare le proprie liste (il fatto che una persona transiti da un Paese definito sicuro potrebbe essere sufficiente per dichiarare “inammissibile” la sua richiesta di asilo).
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