L’amministrazione Trump ha messo nero su bianco la sua visione del mondo, definendo nella propria Strategia per la sicurezza nazionale (NSS) una rottura netta con il cosiddetto internazionalismo liberale degli ultimi decenni. La reinterpretazione degli interessi americani mette in primo piano la necessità di primeggiare in America Latina, di difendere le nazioni sovrane contro l’immigrazione incontrollata e di rimanere una potenza globale pur evitando la tendenza all’interventismo militare. Le prime reazioni sono state come previste: a Mosca piace, a Bruxelles no. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha accolto con favore l’abbandono della definizione della Russia come una minaccia diretta agli Stati Uniti, affermando che i cambiamenti alla strategia Usa sono «coerenti con la nostra visione». Molti in Europa, invece, si sentono offesi per le pesanti critiche in linea con quelle già espresse da JD Vance a Monaco nel febbraio di quest’anno.

LE ACCUSE

Tuttavia, nonostante le accuse alle élite europee di essere anti-democratiche e di mettere a rischio la civiltà occidentale, ai vertici della Commissione europea è prevalsa finora la cautela: Ursula von der Leyen sembra aver capito che lo scontro diretto con la Casa Bianca non conviene, come si è visto nel caso dei dazi. È un approccio simile a quello adottato recentemente da Volodymyr Zelensky, che, di fronte a un piano di pace poco gradito a Kiev, ha fatto buon viso a cattivo gioco, dichiarando il suo appoggio e poi lavorando per ottenere cambiamenti significativi.

LA DOMANDA

In questo contesto occorre chiedersi quanto la NSS funga da dichiarazione di strategia generale da parte della Casa Bianca, e quanto invece da intervento utile a facilitare un accordo rapido sulla guerra in Ucraina. In un’ottica di breve termine, è chiaro che le parole della NSS mirano a mettere in difficoltà l’Europa. Si afferma espressamente il contrasto con «i funzionari europei che nutrono aspettative irrealistiche riguardo alla guerra, appoggiati da governi di minoranza instabili». Gli americani, cioè, girano il dito nella piaga: la posizione espressa dai “volenterosi” in realtà non rifletterebbe la volontà della maggioranza dei cittadini europei, sottolineando le accuse di calpestare la democrazia. Dunque il documento non si limita a criticare gli eccessi moralistici dei “globalisti”: afferma che fermare il conflitto serve all’Europa stessa, per “stabilizzare le economie europee ed evitare l’escalation involontaria o l’espansione della guerra”. Un atto di realismo netto, che mira a scavalcare le lamentele in merito alla “resa” a Putin, mettendo in primo piano una serie di considerazioni pratiche, non ideologiche.

LA STRATEGIA

Il tutto, però, si inserisce nella strategia più generale riguardo alle relazioni tra le grandi potenze. La NSS sottolinea l’importanza di “ristabilire condizioni di stabilità strategica” con la Russia e in tutta la zona eurasiatica. Questo è un interesse fondamentale degli Stati Uniti, riflesso nelle varie proposte recenti per avviare progetti economici congiunti con la Russia. Va notato, qui, che le stesse parole – stabilità strategica – furono al centro dei primi tentativi di dialogo con Putin lanciati da Joe Biden nell’estate del 2021, prima della scivolata verso la guerra. Non manca una certa continuità nel percorso che, almeno dai tempi di Barack Obama, ha visto l’America spostare lo sguardo verso l’Asia per fronteggiare la Cina, con un impegno minore sul fronte est-europeo.

LA PROSPETTIVA

In questa prospettiva, l’impatto immediato della strategia si colloca fermamente dentro la visione più ampia emersa parzialmente negli ultimi anni, e ora dichiarata in termini espliciti dall’amministrazione Trump. Gli Stati Uniti lavoreranno per difendere i propri interessi contro l’emergere di un ordine internazionale incentrato sulla Cina, attraverso un realismo basato sugli interessi economici e sull’uso della forza solo quando necessario. Nel contesto attuale, la guerra in Ucraina è un problema da chiudere appena possibile, per continuare con la rimodulazione dei rapporti mondiali nell’epoca post-globalizzazione.

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