di
Candida Morvillo
Politica a ranghi ridotti: aleggia il sospetto che in tempi di rapporti difficili con la Russia, applaudire l’opera russa che non piacque a Stalin rischi di suonare come una vaga provocazione a Putin
Il Palco Reale della Scala, stavolta, è a ranghi ridottissimi. Lontani i tempi in cui farci stare sia Meloni che von der Leyen era l’equivalente di un cubo di Rubik, ora, mancano tutte le più alte cariche dello Stato. «Ce ne faremo una ragione, noi viviamo bene anche da soli…», commenta il governatore della Lombardia Attilio Fontana.
Alla domanda «la Scala sta perdendo il suo fascino?», glissa anche il sindaco Beppe Sala: «Non credo proprio, anzi, a livello internazionale va sempre meglio». Aleggia il sospetto che in tempi di rapporti difficili con la Russia, applaudire l’opera russa che non piacque a Stalin rischi di suonare come una vaga provocazione a Putin.
Fortunato Ortombina, presentando la sua prima «prima» da sovrintendente, ci era andato leggero: «Lo sa anche Putin che Šostakovič ha sul popolo russo un ascendente superiore al suo». Amen. Non c’è dunque il presidente Sergio Mattarella, che però è alla terza assenza consecutiva e non deve essere l’opera russa a tenerlo lontano, perché c’era al Boris Godunov del 2022, pur a conflitto con l’Ucraina iniziato, e così Giorgia Meloni, pure assente stasera.
Non c’è il presidente del Senato Ignazio La Russa, che passava per habitué. Almeno, è scongiurato il rischio che qualcuno gridi dal loggione, come nel 2023, «Viva l’Italia antifascista». Stasera, solo Roberto D’Agostino, alias Dagospia, butta lì: «Spero di vedere una Lady Macbeth del distretto di Colle Oppio perché l’egemonia è questa».
Nel palco reale, al posto d’onore, siede la senatrice a vita Liliana Segre fra il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso e il sindaco Sala; ci sono poi la sottosegretaria di Stato americana Sara Rogers, il ministro della Cultura Alessandro Giuli, i vicepresidenti di Senato e Camera Gian Marco Centinaio e Anna Ascani, il Prefetto di Milano Claudio Sgaraglia e naturalmente Fontana, con la moglie Roberta Dini che sdogana l’abito al ginocchio che però è un incanto di frange di Christian Dior, mentre la first lady di Sala, Chiara Bazoli, omaggia Giorgio Armani con un lungo, monospalla nero.
In teatro, siede il sottosegretario alla Cultura con delega alle fondazioni lirico-sinfoniche Gianmarco Mazzi, quello che ha appena detto «non abbiamo un’orchestra Sinner, abbiamo un’orchestra Cerúndolo» (riferito a Francisco Cerúndolo, tennista argentino che non è il primo al mondo ma il 21esimo): ora, quella palla fuori rete poteva costargli un buh, ma l’ha scampata, e va al recupero, giurando «questa Lady Macbeth si è rivelata una scelta felice».
Le star del foyer sono per una volta giovani, carini e pop. Il cantante Mahmood gronda gel dai capelli e catene d’oro dall’abito Versace e dice «è la mia prima volta, temevo che tre ore fossero lunghe, ma sono stupende. Questi hanno un diaframma che neanche il mio maestro di lirica a Baggio: sono davvero scioccato».
Il collega Achille Lauro è in smoking lungo fino ai piedi, lugubre come d’uso, però si ferma davanti ai microfoni per dire: «È importante che l’opera arrivi ai giovani». Ad attirare tanta bella gioventù è forse proprio la particolarità di quest’opera pulp la cui protagonista modernissima si ribella al patriarcato e avvelena il suocero, strozza il marito, annega la amante del suo amante. Sembra la trama di una serie tv pronta per Netflix/Warner. L’artista Francesco Vezzoli: «Abbiamo tutti voglia di cose nuove». L’editrice Elisabetta Sgarbi: «Katerina potrebbe essere in un film di Quentin Tarantino, ho in mente Kill Bill. Pulp-Opera: una scelta che ho amato».
Per il resto, il foyer parla più lingue del solito, molte orientali, c’è un mix di nuovo che avanza a antico che resiste, con le signore dei palchi che tornano a farsi riconoscere dai gioielli di famiglia per anni rimasti in cassaforte. Diana Bracco sfoggia un collier di margherite di diamanti e smeraldi; Melania Rizzoli, ora nel Cda del teatro, uno di brillanti Harry Winston in memoria di suo marito Angelo; Andrée Ruth Shammah uno di pietre multicolor appartenuta alla mamma. Vestono Armani, in sua memoria, Pierfrancesco Favino e la moglie Anna Ferzetti; Emma Marcegaglia, scollatissima; Barbara Berlusconi, che è da poco nel Cda del teatro e che ricicla un abito grigio rosso già indossato, e loda «il tema femminile della Lady Macbeth».
Il pubblico è misto come mai. Ci sono Giacomo di Aldo Giovanni e Giacomo e il banchiere Giovanni Bazoli, il wedding planner Enzo Miccio e Arturo Artom che conosce bene la Milano mondana e avvisa: «Non scrivete “sottotono” per via del palco sguarnito, è un’edizione serena che punta sulla qualità dell’opera». La chirurga plastica Fiorella Donati si guarda intorno e commenta: «La chirurgia estetica se ben fatta non si dovrebbe vedere e io qui ne vedo». In fondo, la platea della prima, incarna anche stavolta lo spirito dei tempi.
8 dicembre 2025 ( modifica il 8 dicembre 2025 | 07:26)
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