(METEOGIORNALE.IT) Siamo nel cuore di Dicembre 2025, e l’aria che respiriamo ha quel sapore strano, quasi sospeso, di un inverno che fatica a ingranare. C’è una certa inquietudine tra gli addetti ai lavori, una sensazione di dejà-vu che corre lungo la schiena di chi ha qualche capello bianco in più o di chi, come me, ha passato anni a studiare le carte sinottiche del passato. Guardando fuori dalla finestra, in molte città d’Italia, il clima appare fin troppo clemente, a tratti umido, grigio, ma non freddo. Non come dovrebbe essere. Ed è proprio questa apparente tranquillità atmosferica a risvegliare i fantasmi di esattamente quarant’anni fa. Obiettivo di questo articolo è contestualizzare il meteo del passato con quello che indici di comportamento similari potrebbero innescare, ma attenzione, non vi stiamo annunciando alcun evento simile a quello descritto. E bene leggere tutto l’articolo. Non possiamo fare un riassuntino.

 

 

Sembra un paradosso, vero? Eppure, la storia della meteorologia ci insegna che spesso la quiete più assoluta è l’anticamera della tempesta perfetta.

Correva l’anno 1984, un dicembre che molti ricordano come insolitamente mite, quasi beffardo nel suo regalare giornate tiepide mentre il calendario scivolava verso il Natale. Nessuno, o quasi, poteva immaginare che lassù, molto sopra le nostre teste, si stava preparando un evento destinato a riscrivere i libri di storia climatica: la grande ondata di gelo del Gennaio 1985. Oggi, a quarant’anni di distanza, mentre osserviamo i monitor dei modelli matematici lampeggiare con proiezioni che talvolta sfiorano l’estremo, è doveroso chiedersi: potrebbe succedere di nuovo? E soprattutto, come si costruisce, mattone dopo mattone, un castello di ghiaccio di tali proporzioni?

 

Il meccanismo invisibile dello Stratwarming

Per capire cosa accadde allora – e cosa, in teoria, potrebbe accadere in un futuro non troppo lontano – dobbiamo alzare lo sguardo ben oltre le nuvole, fino alla stratosfera. È lì che si gioca la partita decisiva. Immaginate il Vortice Polare come una gigantesca trottola di venti gelidi che ruota vorticosamente sopra il Polo Nord, tenendo imprigionato il freddo più crudo alle alte latitudini. Finché la trottola gira veloce, il freddo resta lassù, confinato nel suo recinto artico. Noi, qui in Europa e nel Mediterraneo, godiamo di inverni variabili, talvolta piovosi, ma raramente feroci.

Tuttavia, accade talvolta qualcosa che rompe l’equilibrio. Si chiama Stratwarming, o Riscaldamento Stratosferico Improvviso. È un fenomeno affascinante e violento: in pochi giorni, le temperature nella stratosfera polare possono schizzare verso l’alto, aumentando anche di 50°C o 60°C. Questo riscaldamento agisce come un martello pneumatico sul Vortice Polare. Lo comprime, lo stira e, nei casi più estremi – quelli che noi meteorologi definiamo major warming – lo spezza letteralmente in due o più lobi.

Quando il vortice si rompe, o collassa, le correnti zonali (quelle che viaggiano da Ovest verso Est portando aria mite oceanica) rallentano fino a fermarsi o, addirittura, invertono la marcia. È il caos, scientificamente parlando. L’aria gelida, non più trattenuta dalla forza centrifuga del vortice, scivola pesantemente verso le medie latitudini. È come aprire la porta del freezer in una stanza calda: il freddo non chiede permesso, esce e invade tutto. Questo processo non è immediato; richiede tempo, una sorta di “tempo di propagazione” che va dall’alto verso il basso, dalla stratosfera alla troposfera (dove viviamo noi). Nel 1985, questo meccanismo funzionò con una precisione svizzera, o forse dovremmo dire siberiana.

 

La sinottica perfetta per il gelo in Italia

Ma attenzione, perché qui casca l’asino – come si suol dire. Avere un Vortice Polare disturbato o spaccato non è garanzia automatica di gelo per l’Italia. Il nostro Paese è protetto dalle Alpi, circondato da un mare tiepido che funge da termosifone naturale. Perché il freddo vero, quello che spacca le tubature e congela la laguna di Venezia, arrivi fin qui, serve un incastro sinottico rarissimo e perfetto.

Serve, innanzitutto, che l’Alta Pressione delle Azzorre si elevi prepotentemente verso nord, puntando l’Islanda o addirittura la Scandinavia. Questa manovra blocca l’arrivo delle perturbazioni atlantiche e, contemporaneamente, apre un’autostrada – in senso antiorario – per le masse d’aria presenti sulla Russia e sulla Siberia. Parliamo di moto retrogrado: l’aria gelida si muove da Est verso Ovest, contro la logica abituale del nostro clima.

È il famoso Buran, o Burian che dir si voglia. Un vento che non perdona, carico di un freddo pellicolare, pesante, che si deposita nei bassi strati e difficilmente viene scalzato. Nel Gennaio 1985, una lingua di aria gelida di estrazione artico-continentale si gettò sul Mediterraneo passando dalla Porta della Bora e dalla Valle del Rodano. Le temperature crollarono verticalmente. Si registrarono valori che oggi ci sembrano fantascienza: -23°C a Firenze, quasi -30°C in alcune valli appenniniche. Ma il freddo, da solo, non basta a creare il paesaggio fiabesco che tutti ricordano.

 

Il paradosso della neve: il gelo non basta

C’è un equivoco comune che va chiarito, specialmente ora che siamo bombardati da titoli sensazionalistici, eccessivi commenti social che da una parte sono pessimisti ogni giorno dell’anno, altri fantasiosi.

Il freddo siberiano, di per sé, è secco. Secchissimo. Se arrivasse aria a -15°C dalla Siberia senza incontrare ostacoli o contributi umidi, avremmo cieli azzurri, cristallini, e un freddo tagliente, ma niente neve. Nemmeno un fiocco. Per vedere la “dama bianca” ricoprire le cupole di Roma o le spiagge della Liguria, serve un ingrediente fondamentale: l’instabilità atmosferica mediterranea.

È qui che la meteorologia diventa arte. Nel 1985, e come potrebbe accadere in un ipotetico scenario estremo di questo Dicembre 2025, l’aria gelida interagì con la superficie più calda del Mar Mediterraneo. Questo contrasto termico brutale generò profonde aree di bassa pressione – vere e proprie ciclogenesi – che richiamarono aria umida e mite in quota, facendola scorrere sopra il cuscino di aria gelida che si era depositato al suolo.

Ecco la ricetta della grande nevicata: freddo resistente in basso, umidità in arrivo dall’alto. Se manca uno dei due, l’evento salta. Se c’è solo l’umidità, piove. Se c’è solo il gelo, fa freddo e basta. Quell’anno, la natura decise di mescolare gli ingredienti con una proporzione perfetta, scaricando metri di neve su Milano, Trento, Bologna, e imbiancando coste che non vedevano fiocchi da generazioni.

 

Tra memoria e futuro: l’inverno 2025-26

Torniamo a oggi. Siamo immersi in un contesto climatico profondamente diverso da quello di quarant’anni fa. Il Riscaldamento Globale è una realtà innegabile che ha “dopato” il sistema termodinamico del pianeta. Le temperature medie sono più alte, gli oceani sono più caldi. Questo significa che ripetere un 1985 è impossibile? Assolutamente no. Anzi, paradossalmente, l’energia in gioco è maggiore.

Gli studi di enti prestigiosi come l’ECMWF o il NOAA suggeriscono che, sebbene gli episodi di freddo estremo stiano diventando statisticamente meno frequenti, quando si verificano possono assumere connotati di violenza inaudita proprio a causa del maggior calore latente disponibile nei nostri mari. Un Mar Mediterraneo che a dicembre è ancora tiepido rappresenta un serbatoio di energia formidabile per le perturbazioni, se e quando l’aria polare riuscirà a sfondare la barriera alpina.

 

In questo Dicembre 2025, stiamo osservando segnali contrastanti nella stratosfera. Alcuni indici, come l’Oscillazione Artica (AO) e l’Oscillazione Nord Atlantica (NAO), mostrano tentennamenti che potrebbero suggerire un indebolimento del Vortice Polare nelle prossime settimane. Non è una certezza, sia chiaro, ma una possibilità. La tecnologia ci aiuta: i supercomputer oggi macinano miliardi di dati al secondo, permettendoci di vedere (o meglio, intravedere) tendenze a 10 o 15 giorni che negli anni ’80 erano pura utopia.

 

Tuttavia, c’è sempre quel margine di imponderabilità, quel “battito d’ali di farfalla” che può trasformare una previsione di freddo moderato in un evento storico, o viceversa far svanire tutto in una bolla di aria mite. La nevicata del 2012, per esempio, ci ha ricordato che il “grande inverno” può tornare a bussare alla porta anche nell’era del riscaldamento globale, paralizzando intere regioni e ricordandoci quanto siamo piccoli di fronte alla furia degli elementi.

 

Insomma, mentre ci prepariamo a chiudere questo 2025, lo sguardo resta fisso sui modelli matematici e sulle mappe stratosferiche. La storia non si ripete mai identica, dicono, ma spesso fa rima. E chissà che, nel silenzio di una notte di gennaio, non ci si ritrovi ancora una volta a guardare il cielo, aspettando quel silenzio ovattato che solo la neve sa portare, magari proprio lì, dove l’abbiamo aspettata invano per quarant’anni.

L’inverno, quello vero, è un animale dormiente, non estinto. E quando si sveglia, lo fa senza preavviso, lasciandoci a bocca aperta a contare i centimetri di neve o i gradi sotto zero, esattamente come facevano i nostri genitori in quel lontano, incredibile, gennaio del 1985.

 

Approfondimenti Scientifici e Fonti (METEOGIORNALE.IT)


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