di
Viviana Mazza
L’ex capo dello staff del Consiglio di sicurezza nazionale del primo mandato Trump, Gray: l’Ue è distante dai nostri valori
«Nella strategia di sicurezza nazionale si legge — e sono sicuro che non sia successo mai stata in nessuna strategia di sicurezza nazionale prima — che lo Stato-nazione è visto come la principale unità di governo globale. E penso che questo sia stato probabilmente inteso in contrasto diretto con le strutture sovranazionali dell’Ue, non semplicemente perché all’amministrazione Trump e ai conservatori negli Stati Uniti non piacciono gli enti sovranazionali, ma soprattutto perché negli ultimi anni l’Ue ha iniziato ad adottare una serie di misure, sia interne sia in relazione agli Usa su cose che riguardano la politica tecnologica e la censura, la censura di coloro che criticano il multiculturalismo, che ha portato molti conservatori americani a pensare che l’Unione europea non rifletta più ma anzi abbia tradito i valori liberali che siamo fieri di avere ereditato dall’Europa. Quando lo dico agli europei c’è un forte choc. C’è una disconnessione tra come noi diamo per scontato che vengano percepite le politiche europee e come queste stesse cose sono percepite in Europa».
Alexander B. Gray, ex capo dello staff del Consiglio di sicurezza nazionale del primo mandato di Trump e oggi studioso dell’Atlantic Council, spiega così le radici della Strategia di sicurezza nazionale di Trump.
Perché si discute tanto dell’identità culturale dell’Europa nel documento?
«In parte la rilevanza delle questioni culturali deriva dal fatto che gli Stati Uniti stanno arrivando alla conclusione che l’Europa è molto meno centrale per i nostri interessi geopolitici cruciali. Ci stiamo allontanando dalla visione che avevamo sin dal 1917 se non dal XIX secolo che quello che accade in Europa è centrale per il nostro destino».
Gli Usa vogliono che l’Europa prenda il controllo della maggior parte delle capacità di difesa convenzionali della Nato entro il 2027 come ha rivelato la Reuters?
«Posso parlare per me, non per l’amministrazione. Ma se leggete la Strategia e ascoltate gli alti funzionari di governo è ovvio che porranno maggiore attenzione sull’emisfero occidentale e sull’Asia. L’Europa? Penso che la situazione ideale sarebbe essere allineati in termini di valori e visioni del mondo e lavorare in modo collaborativo su una serie di questioni. L’Europa gestisce la sicurezza europea con il nostro aiuto, ma questo non è il nostro focus principale. Penso che sia per questo che ci si concentra tanto sulle questioni culturali. Penso che ci sia il desiderio di arrivare ad una situazione in cui l’Europa è allineata con noi sui valori, in modo da avere una maggiore abilità di rivolgersi all’Europa, delegarle alcune responsabilit di sicurezza del continente. E penso che ora, siccome i valori divergono in modo così significativo, non ci sia quel livello di partnership che permette di lavorare in modo collaborativo se ci concentriamo su altre cose».
Queste divergenze riguardano anche l’Ucraina?
«Penso che ne siano parte. A livello strategico per noi ha grande valore evitare che la Russia conquisti l’Ucraina, ma la divergenza sta nell’attenzione e nelle risorse che riteniamo debbano essere dedicate a realizzare gli obiettivi di guerra di Zelensky. A questo punto la prospettiva Usa è che i suoi obiettivi di guerra massimalisti — che penso che molti dei nostri amici in Europa condividano — non sono i nostri. Il nostro obiettivo è raggiungere un accordo ottenibile, che mantenga l’Ucraina indipendente e sovrana ma non necessariamente realizzi tutte le cose che Kiev vorrebbe anche se francamente avrebbero senso da un punto di vista morale. Ma è nell’interesse Usa spendere le nostre limitate risorse per tentare di raggiungerle? Penso che la posizione Usa sia sempre di più: no, non è nel nostro interesse spingere per gli obiettivi massimalisti di guerra ucraini. E in questo c’è divergenza con i nostri amici europei».
Quando parla di obiettivi massimalisti si riferisce anche al territorio? L’America vuole che Kiev rinunci al tutto il Donbass? «Non so se tutto il Donbass. Non sono al corrente dei dettagli dei negoziati. Ma penso che il punto sia che se non possiamo sostenere questo conflitto in eterno e se nemmeno gli europei possono e se non è nel nostro interesse lasciare che continui col rischio che vada fuori controllo e si estenda ad alleati Nato, con cui avremmo l’obbligo dell’Articolo 5, devono essere concessioni da entrambe le parti. Non è giusto, l’Ucraina è la vittima, ma alla fine da un punto di vista geopolitico realista è la realtà strategica».
È per questo che gli Usa sembrano contrari al fatto che l’Ucraina riceva i fondi degli asset russi congelati in Belgio per armarsi?
«So che ci sono persone nel governo Usa, specie al dipartimento del Tesoro, che hanno obiezioni tecniche all’uso di risorse sanzionate per obiettivi non legati ad esse. La questione strategica più ampia è che adesso non credo sia il momento dalla prospettiva dell’amministrazione Trump: adesso sarebbe il momento di usare tutti gli sforzi per ottenere un accordo anziché dare a qualcuno strumenti per continuare il conflitto».
Alcuni repubblicani al Congresso temono un approccio troppo prorusso di Witkoff e sono contrari al disimpegno dall’Europa. Divisioni nella coalizione?
«L’ala di politica estera dei repubblicani al Congresso non ha mai accettato la visione realista della politica estera di Trump, da Mitch McConnell a Lindsey Graham. Il senatore Graham è un alleato politico del presidente e vanno d’accordo, ma le sue idee di politica estera risalgono al 2003. Probabilmente la maggioranza dei senatori repubblicani preferirebbero che il presidente avesse un approccio più simile a Bush. Non penso che sia uno scisma nell’amministrazione. La verità è che di anno in anno eleggiamo più senatori repubblicani con idee simili a Trump, a JD Vance e meno a McConnell e Graham: penso che sia questa la direzione del partito in politica estera».
E perché il documento non critica la Russia?
«Perché è una minaccia di breve termine alla stabilità dell’Europa dell’Est e dobbiamo contenerla, serve deterrenza, ma è un potenza in declino con debolezze demografiche, economiche e militari straordinarie. E penso che la Strategia cerchi di mettere in luce le priorità: l’emisfero occidentale e la Cina».
8 dicembre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA