Uscito il 27 luglio 1993, SIAMESE DREAM è il capolavoro ossessivo di Billy Corgan: stratificato, visionario, fragile e potentissimo.
Uscito il 27 luglio 1993, SIAMESE DREAM degli Smashing Pumpkins è uno degli album più ambiziosi e definitivi del rock alternativo. Un’opera in cui il culto per la perfezione sonora si intreccia alla fragilità emotiva del suo autore, Billy Corgan.
In questo articolo ne ripercorriamo la genesi, il contesto, il suono stratificato e la tensione emotiva. Dal ruolo di Butch Vig ai suoni distorti del Big Muff, passando per la voce unica di Corgan, SIAMESE DREAM resta una pietra miliare che ancora oggi ci incanta.
Tutte le chitarre mai ascoltate
Quando nel luglio del 1993 uscì SIAMESE DREAM, secondo album degli Smashing Pumpkins, l’alternative rock era già diventato lo standard dominante per MTV e le classifiche americane. Ma quello che Billy Corgan aveva in mente andava ben oltre lo standard. Più che inseguire l’estetica grunge dei suoi contemporanei, voleva riscrivere la grammatica del rock: creare un suono che fosse il solo possibile, l’unico ammesso in un mondo ideale. Un suono capace di condensare tutte le chitarre mai ascoltate, tutti i sogni infranti dell’adolescenza e tutta la rabbia repressa dell’età adulta. Alla radice di SIAMESE DREAM non c’è solo la fragilità emotiva di Corgan, né semplicemente il suo bisogno esasperato di controllo. C’è una visione sonora ambiziosa, che prende le distanze dal culto lo-fi dell’indie rock per abbracciare senza vergogna la grandeur delle band “dinosauro” del passato: Queen, Boston, Rush, Black Sabbath. Proprio queste band, ufficialmente distanti dal movimento alternativo, erano invece per Corgan una fonte inesauribile di ispirazione, ruminata, digerita, vomitata e trasformata in qualcosa di nuovo. Il suo era un culto per la La produzione dell’album, affidata a Butch Vig – reduce dal successo di NEVERMIND (1991) dei Nirvana – fu il teatro di un processo quasi disumano. Corgan lavorava anche 14 ore al giorno su pochi secondi di musica, e pretendeva un livello di accuratezza che sfociava spesso nell’ossessione. La band si sfaldava: Chamberlin lottava contro la dipendenza, Iha e D’arcy si erano appena lasciati, e Corgan – nel frattempo – stava registrando di persona quasi tutte le parti di chitarra e basso. L’unico brano in cui il basso è realmente suonato da D’arcy Wretzky è “Luna”.
Un vecchio pedale fuzz analogico
Il risultato è un’opera che unisce brutalità e dolcezza, saturazione e vuoto, ferocia e intimità. La cifra sonora di SIAMESE DREAM è un layering esasperato, con brani che arrivano a contenere fino a 40 tracce di chitarra sovrapposte. Corgan e Iha utilizzano il Big Muff – un pedale di distorsione nato negli anni ’60, rude, rumoroso, rotondo – come cuore del loro suono. Una scelta irriverente e controcorrente, soprattutto dopo un decennio – gli anni ’80 – in cui i chitarristi di band come Toto, Van Halen, Boston o gli stessi U2 avevano fatto sfoggio di sofisticati sistemi digitali ed effetti ipertecnologici. Recuperare un vecchio pedale fuzz analogico sembrava un affronto. Ma proprio in quella provocazione si celava la visione magica di Corgan. Al fianco del Big Muff, compare su moltissime tracce anche il phaser Mu-Tron Bi-Phase, che modulava il suono con un effetto psichedelico cangiante: come se ogni nota respirasse. I brani alternano esplosioni distorte (“Cherub Rock”, “Quiet”) a ballate fragili e orchestrali (“Disarm”, “Spaceboy”), mentre altri – come “Today” o “Mayonaise” – sembrano sollevarsi in volo, nonostante il peso emotivo dei testi. Proprio “Mayonaise” è una delle tracce più intense del disco: coltri di chitarre che sembrano piangere, effetti e melodie che ancora oggi sorprendono per profondità e delicatezza. Suoni mai sentiti prima nel rock, e ancora capaci di stupire. In “Cherub Rock”, il brano d’apertura, Corgan riversa tutti i suoi fantasmi infantili in un riff rubato ai Rush, ma trasfigurato da ottave pulsanti e chitarre infinite. È una dichiarazione di poetica, ma anche un gesto di rivalsa: nella scena alternativa, citare band come Rush o Boston era un tabù. Ma Corgan se ne frega. Rifiuta il cinismo dell’indie, sfida le regole del cool, canta la sua ferita con voce sottile e quasi infantile. Anche nei testi, l’ironia è bandita: “Today is the greatest day I’ve ever known / Can’t wait for tomorrow, I might not have that long” è una delle più brillanti e tragiche beffe pop degli anni ’90.
Sogno, rabbia e malinconia.
E poi c’è “Disarm”, ballata barocca censurata dalla BBC, con campane, timpani e archi degni di Kate Bush. Il mix finale fu affidato ad Alan Moulder, già collaboratore dei My Bloody Valentine, che portò l’intero album a un nuovo livello di densità e tridimensionalità. SIAMESE DREAM è un disco che sembra scolpito nel suono, progettato con una minuzia maniacale, ma capace di restituire emozione e struggimento in ogni traccia. Una sintesi tra sogno, rabbia e malinconia, perfettamente incarnata nella poetica sonora di Corgan, un artista profondamente insicuro, fragile, incapace di dissimulare. Facile bersaglio per la stampa, vittima e carnefice nella stessa frase. Fu l’ex fidanzata Courtney Love a definirlo con lucidità brutale: “È geloso solo di chi ha davvero successo. Vuole essere Roger Waters. E forse lo sarà. È l’unico tra loro che sa scrivere una canzone orecchiabile. Ma ciò che lo tormenta è che musica che non ha significato culturale.” Eppure SIAMESE DREAM un significato ce l’ha, eccome. È l’album che dimostra che anche nel cuore dell’alternative più ruvido e introverso poteva ancora brillare il sogno grandioso, melodrammatico, fragoroso del rock. Solo, rivisitato con un’urgenza nuova. Non era più il tempo degli dei del rock, ma dei bambini che avevano messo la testa negli altoparlanti per cercare di sentirsi un po’ meno soli ascoltando i grandi album rock del passato. Corgan era uno di loro. E quel disco, ancora oggi, suona come il loro rifugio.