di
Elisabetta Soglio
L’attore firma con Fania Alemanno un manuale sull’«umorismo relazionale». «Si parte dall’autoironia». La carriera e i maestri: l’incontro con Dario Fo
Un bambino di tre anni ride in media circa 400 volte al giorno. Arrivi a 23 e comincia il crollo graduale fino a quando ti ritrovi quarantenne e se strappi 4 risate al giorno è già un successo. Eppure ridere fa bene: lo dimostrano decine di studi scientifici, lo consigliano i cardiologi e poi te lo ripete anche uno che ha trasformato il far ridere in un pezzo del suo lavoro. Germano Lanzoni, attore, comico, dal 2000 voce ufficiale del Milan («Son rimasto perché era l’anno della Champions vinta…»), volto del Milanese Imbruttito, cantautore, professore e tanto altro, è oggi ambasciatore del monito «Ricordati di ridere», titolo anche del libro scritto con Fania Alemanno, psicologa e sua collaboratrice da quasi dieci anni. Insieme, i due hanno creato la Hbe, Humor Business Experience, per portare nelle aziende la loro filosofia e mettere l’umorismo relazionale al servizio dell’organizzazione e del benessere aziendale, della comunicazione e della leadership.
«Volevamo proporre una comicità non di repertorio ma tarata sugli obiettivi posti dalle aziende e a furia di mettere insieme esperienze abbiamo identificato questa idea di umorismo relazionale», spiega Alemanno. Puntualizza Lanzoni: «La risata può essere una leva distruttiva, perché se diventa sarcasmo offende e umilia. Noi cerchiamo la risata che include, che può dare conforto e non punta sulla imperfezione altrui. Anche perché siamo noi per primi imperfetti». Da dove si comincia a imparare a ridere? «Dall’autoironia, perché in questo modo accettiamo l’altro». Conferma Alemanno: «Negli ambienti di lavoro, ma anche nelle relazioni, ci sono i problemi ma sta a noi decidere se vogliamo alleggerirli e in questo il ridere ci aiuta, oppure se vogliamo aggiungere il carico da 100 lamentandoci e andando a cercare un colpevole della nostra frustrazione. Con questo atteggiamento sempre negativo avveleniamo la nostra vita e quella del team: in un team felice si produce di più e meglio».
Ma chi fa ridere gli altri, è capace di ridere? Germano Lanzoni (giustappunto) sorride: «Io sono di Milano e la malinconia fa parte del nostro dna». Poi canticchia qualche verso di una sua canzone: «Felicità è una questione di chimica, fa tutto solo l’amigdala, chiedi alla neuropsicologa». Fuor di metafora canterina, «ho fatto anche io un lungo percorso, facendomi aiutare da persone esperte, per riuscire a preservarmi dall’illusione del comico che con l’applauso si sente molto intelligente, perché ha messo in connessione due informazioni congrue ma impreviste». Certo, una consapevolezza che è frutto di un lavoro lungo e di tanto mestiere: «Mi sono diplomato alla scuola di teatro negli Anni 90, poi ho cominciato a lavorare in radio e poi col Milan: quello è stato un vantaggio perché la notorietà è arrivata quando avevo già 48 anni, ma il mio percorso era già pieno di tante esperienze».
E di tanti incontri: «Di tanti maestri, più che altro. A cominciare da Jannacci e Gaber e da tutta quella scuola di cabaret che a Milano hanno di fatto allevato loro». Discorso a parte per «Il» maestro Dario Fo: «Un mio amico faceva il mimo nella sua compagnia e a un certo punto mi chiese se fossi disponibile per dare una mano a Dario Fo e a Franca Rame che stavano facendo il trasloco e dovevano portare tutto il loro enorme archivio in Umbria, dove già viveva il loro figlio Jacopo». La risposta? «Ovviamente ho detto sì e sono state settimane bellissime perché ho davvero visto di tutto: ricordo che abbiamo imballato 57 scatoloni di testi, non esistevano i computer e tutto era scritto a mano o a macchina: per ogni loro spettacolo avevano il faldone con il testo originale, il faldone con i canovacci e quello con le parti che erano state tolte. E poi in soffitta abbiamo svuotato tantissimi cassetti, tipo quelli da architetto e da lì saltarono fuori decine e decine di disegni di Fo, una produzione vastissima, inimmaginabile. Vedendo tutto quel materiale, tutta quell’arte mi sono chiesto quante ore di lavoro c’erano dietro: ma in effetti erano altri tempi, mica si perdevano ore a scrollare il cellulare…».
Ma torniamo ai benefici della risata. Il dato da cui siamo partiti, le 400 risate al giorno che poi diventano solo 4, arriva da una ricerca di Gallup che nel 2013 aveva sondato 1,4 milioni di persone in 166 Paesi verificando, appunto, che l’ingresso nel mondo del lavoro corrisponde al crollo dello spazio risate. Di qui l’idea di un libro che sia anche un po’ manuale su come cambiare questa rotta, nell’interesse di tutti. E se un collega vi dice che non ride perché non ha il senso dell’umorismo, fermatelo: «Lo abbiamo tutti, ma va allenato perché è come un muscolo. Spesso, anzi, lo abbiamo ma lo teniamo nascosto o represso», insistono Alemanno e Lanzoni all’unisono.
Resta solo da capire un’ultima cosa: due persone che ci invitano a ridere anche sul posto di lavoro, quando sono al lavoro ridono sempre? «Risponde Fania Alemanno: «Ridiamo molto, certo, ma litighiamo anche. Però il conflitto per noi è sempre creativo». Conferma Lanzoni: «Alla fine sei sempre tu a decidere come risolvi il conflitto: puoi tenere il broncio oppure, come facciamo noi», abbracciarsi».
9 dicembre 2025
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