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Francesca Basso, corrispondente da Bruxelles, e Viviana Mazza, corrispondente da New York

Il presidente del Consiglio europeo, Costa: gli alleati «rispettano la sovranità reciproca». Per gli americani, invece, è possibile «raggiungere un accordo ma che non necessariamente realizzi tutte le cose che Kiev vorrebbe»

Sono passati cinque giorni dalla pubblicazione della nuova Strategia di sicurezza nazionale della Casa Bianca. Spesso questi documenti sono di significato limitato e li si può più o meno ignorare. Non in questo caso.

Visto da Bruxelles

Più passano le ore dalla pubblicazione della Strategia Usa sulla sicurezza nazionale che attacca l’Unione europea alle fondamenta, più le reazioni del Vecchio Continente mettono in luce l’assenza di sorpresa, come se quei contenuti siano ormai concetti acquisiti. Lo choc ci fu, e molto, nel febbraio scorso dopo le parole del vicepresidente J.D. Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco. Poi gli europei hanno avuto modo di sperimentare nei fatti il cambio di atteggiamento di Washington verso Bruxelles, dai dazi al non coinvolgimento nel processo di pace in Ucraina. Quindi, ci hanno spiegato fonti diplomatiche europee, non c’è stata alcuno stupore. Le reazioni tiepide che sono seguite non sono però da attribuire ad assuefazione, bensì a un calcolo politico o a «saggezza»: per condizionare la pace in Ucraina, l’Unione europea non può permettersi in questo momento di irritare gli Stati Uniti. E risulta chiaro dalla prima dichiarazione ufficiale attribuibile a un esponente di rango della Commissione europea. Sabato l’Alto rappresentante Ue Kaja Kallas, intervenendo al Doha Forum, ha detto che «gli Stati Uniti sono ancora il nostro più grande alleato. Ed è nell’interesse degli Stati Uniti che noi collaboriamo».



















































A proposito del documento Usa, la politica estone ha riconosciuto che «naturalmente ci sono molte critiche» e ha aggiunto di ritenere che «alcune di esse siano anche fondate». Certo, lo stesso giorno un portavoce della Commissione ha replicato quasi d’ufficio che «quando si parla delle decisioni che riguardano l’Unione europea queste vengono prese dall’Unione europea, per l’Unione europea, comprese quelle relative alla nostra autonomia normativa, alla tutela della libertà di parola e all’ordine internazionale basato sulle regole». Ma non c’è stato alcun post della presidente Ursula von der Leyen. Viene fatto osservare che l’unico leader intervenuto è Donald Tusk, che ha usato i toni di Kallas: il premier polacco si è rivolto direttamente ai «cari amici americani» in un post su X per dire che «l’Europa è il vostro alleato più stretto, non il vostro problema. E abbiamo nemici comuni. Almeno così è stato negli ultimi 80 anni» e «questa è l’unica ragionevole strategia per la nostra sicurezza comune. A meno che qualcosa non sia cambiato».

Il primo intervento ufficiale a livello di vertici delle istituzioni Ue è quello di ieri del presidente del Consiglio europeo António Costa, che ha parlato alla conferenza annuale dell’Istituto Jacques Delors a Parigi, tre giorni dopo la pubblicazione della strategia statunitense. Tuttavia, secondo una fonte Ue, quella del presidente del Consiglio europeo non può essere considerata una reazione vera e propria: «Costa ha fatto un discorso più ampio e sarebbe stato strano se non avesse menzionato la strategia Usa. Diciamo che ha avuto l’occasione per intervenire». Costa ha detto che «il discorso del vicepresidente J.D. Vance a Monaco e i numerosi tweet del presidente Trump sono ora ufficialmente la dottrina degli Stati Uniti. Dobbiamo prenderne atto e agire di conseguenza». Il politico portoghese ha usato toni concilianti ma fermi: «Questa strategia continua a parlare dell’Europa come alleato. Questo è positivo ma, se siamo alleati, dobbiamo agire come alleati. E gli alleati non devono interferire nelle scelte politiche interne dei loro alleati». Gli alleati, ha proseguito, «rispettano la sovranità reciproca» e «quello che non possiamo accettare è la minaccia di interferenza nella vita politica dell’Europa. Gli Stati Uniti non possono sostituirsi ai cittadini europei nella scelta di quali partiti sono buoni e quali cattivi». Inoltre per Costa «non c’è la libertà d’espressione se la libertà di informazione è sacrificata per difendere i tecno-oligarchi degli Usa».

Sempre ieri la capo-portavoce della Commissione, Paula Pinho, sollecitata sulle parole di Elon Musk che ha paragonato la Ue a «un quarto Reich» auspicandone l’abolizione, ha risposto che «fa parte della libertà di parola anche esprimere affermazioni completamente folli»: «Immagino che il fatto di multare le aziende del signor Musk non sembri avergli guadagnato la simpatia per l’Ue». Insomma, acqua sul fuoco. Questo non vuol dire però che l’Unione europea sia inerte. Come ci spiegava ieri un diplomatico Ue, il 2025 è stato un anno straordinario per gli standard europei: «Ci siamo svegliati sulla difesa, prima si discuteva di autonomia strategica ora prendiamo decisioni per attuarla, il Buy European ora è un concetto accettato e perseguito. Forse si sta dando troppa importanza alla nuova strategia Usa perché il mondo come lo conoscevamo dal 20 gennaio che non c’è più».

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Non va però sottovalutato un aspetto che ha messo bene in evidenza l’ex premier Mario Monti ieri sul Corriere: «Le istituzioni europee sono rimaste forse l’unico luogo al mondo dove il presidente Trump non può negoziare mischiando l’interesse pubblico e quello personale: suo, dei suoi familiari, dei suoi soci immobiliari, degli oligarchi di Big Tech o della finanza, come invece è orgoglioso di riuscire a fare, soprattutto nelle oligarchie. L’Europa si è costruita sullo stato di diritto, sulla distinzione tra interesse privato e pubblico, sulla lotta alla corruzione, sul capitalismo democratico, sull’apertura degli scambi, sul sistema multilaterale». Principi sui quali al momento la maggior parte degli Stati membri non sembra disposta a rinunciare ma su cui le opinioni pubbliche di alcuni Paesi sembrano meno sensibili rispetto a un tempo, complice una narrativa di estrema destra fuorviante.

Visto da Washington

L’ex capo dello staff del Consiglio per la sicurezza nazionale di Trump nel primo mandato, Alexander B. Gray, nella sua intervista sul Corriere di oggi, spiega che gli Stati Uniti «stanno arrivando alla conclusione che l’Europa è molto meno centrale per i nostri interessi geopolitici cruciali. Ci stiamo allontanando dalla visione che avevamo sin dal 1917 se non dal XIX secolo che quello che accade in Europa è centrale per il nostro destino».

«In questa strategia di sicurezza nazionale si legge che lo Stato-nazione è visto come la principale unità di governo globale – ci ha detto Gray -. E penso che questo sia probabilmente inteso in contrasto diretto con le strutture sovranazionali dell’Ue, non semplicemente perché all’amministrazione Trump e ai conservatori Usa non piacciono gli enti sovranazionali, ma soprattutto perché negli ultimi anni l’Ue ha iniziato ad adottare misure, sia interne sia in relazione agli Usa, su cose come le politiche tecnologiche e la censura di coloro che criticano il multiculturalismo, che ha portato molti conservatori americani a pensare che l’Unione europea non rifletta i valori liberali che siamo fieri di avere ereditato dall’Europa. Quando lo dico agli europei c’è un forte choc». Lo choc forse non c’è stato, secondo quanto scrive Francesca da Bruxelles qui sopra, ma probabilmente è vero che «c’è una disconnessione tra come noi negli Usa diamo per scontato che vengano percepite le politiche europee e come sono percepite in Europa», come aggiunge Gray.

Gli abbiamo chiesto come mai questa forte enfasi su temi culturali e valoriali dell’Europa in un documento sulla sicurezza nazionale. «La situazione ideale sarebbe essere allineati in termini di valori e visioni del mondo e collaborare su varie questioni: l’Europa gestisce la sicurezza europea col nostro aiuto, ma questo non è il nostro focus principale. Penso che sia per questo che ci si concentra tanto sulle questioni culturali. Penso che ci sia il desiderio di arrivare ad una situazione in cui l’Europa è allineata con noi sui valori, per avere maggiore abilità di rivolgersi ad essa e delegarle alcune responsabilità di sicurezza del continente. E oggi siccome i valori divergono significativamente non c’è quel livello di partnership che permette di lavorare in modo collaborativo se ci concentriamo su altro».

Dall’Europa, Costa parla di interferenze da parte degli Stati Uniti. Ma dagli Stati Uniti Trump, Musk e altri lamentano le interferenze delle norme europee sulle libertà delle imprese americane (inclusi gli agricoltori Usa, come dichiarava ieri dalla Casa Bianca il presidente, affermando che le norme sulla deforestazione vorrebbero «dettare come devono usare le loro terre se vogliono vendere legname in Europa»).

Ovviamente le discrepanze di visioni riguardano anche l’Ucraina. «A livello strategico per noi ha grande valore evitare che la Russia conquisti l’Ucraina – ci dice Gray -. La divergenza sta nell’attenzione e nelle risorse che riteniamo debbano essere dedicate a realizzare gli obiettivi di guerra di Zelensky. Oggi la prospettiva Usa è che i suoi obiettivi di guerra massimalisti — che penso molti dei nostri amici in Europa condividano — non sono i nostri. I nostri obiettivi sono: raggiungere un accordo ottenibile, che mantenga l’Ucraina indipendente e sovrana ma non necessariamente realizzi tutte le cose che Kiev vorrebbe e che francamente avrebbero senso da un punto di vista etico. Ma è nell’interesse Usa spendere le nostre limitate risorse per tentare di raggiungerle? La posizione Usa è sempre di più: no». Gli abbiamo chiesto se parlando di «obiettivi massimalisti» ucraini si riferisca ai territori e se l’America, come sempre più temono gli europei, voglia che Kiev rinunci a tutto il Donbass. «Non so se tutto il Donbass. Non conosco i dettagli dei negoziati – replica Gray -. Ma il punto è: se non possiamo sostenere il conflitto in eterno e nemmeno gli europei possono, e se non è nel nostro interesse lasciare che continui col rischio che esca fuori controllo e si estenda ad alleati Nato con cui avremmo l’obbligo dell’Articolo 5, devono esserci concessioni da ambo le parti. Non è giusto, l’Ucraina è la vittima, ma da una prospettiva geopolitica realista è la realtà».

Queste idee non sono ovviamente condivise da tutti i conservatori. I conservatori tradizionali respingono l’idea che il movimento Maga abbia conquistato l’etichetta del conservatorismo. Molti repubblicani al Congresso sono contrari al disimpegno dall’Europa e questa settimana voteranno per una proposta di legge sulla difesa che include restrizioni e condizioni prima che il Pentagono possa ridurre i soldati Usa schierati in Europa o che rinunci al ruolo (che tocca ad un generale americano) di Comandante supremo alleato della Nato.

Secondo Gray comunque questo non è uno scisma interno all’amministrazione Trump. «L’ala di politica estera dei repubblicani al Congresso non ha mai accettato la visione realista in politica estera di Trump: c’è un grosso gruppo, probabilmente la maggioranza dei senatori repubblicani, che preferirebbe che Trump avesse un approccio più simile a Bush. Ma di anno in anno, con ogni nuova elezione, eleggiamo più senatori repubblicani con idee più simili a Trump e a J.D. Vance e meno simili a quelle di Mitch McConnell e Lindsey Graham. È questa la direzione del partito repubblicano in politica estera».

9 dicembre 2025 ( modifica il 9 dicembre 2025 | 15:21)