di
Ilaria Sacchettoni

Maurizio Fiasco ha conosciuto bene i corridoi della Nefrologia del Sant’Eugenio dove sua madre, Chiara Allegri era stata dirottata in seguito alla chiusura dell’ ospedale San Giacomo

Era il reparto dei rebus. A partire dalle indicazioni che permettevano di raggiungerlo. Poche. Incerte. Oscure. Maurizio Fiasco, sociologo di professione, caregiver per necessità, ha conosciuto bene i corridoi della Nefrologia del Sant’Eugenio dove sua madre, Chiara Allegri (poi morta nel 2009), era stata dirottata in seguito alla chiusura del centro di eccellenza della nefrologia, istituito all’ ospedale San Giacomo.

Era il 2008 dice. Ricorda bene il periodo nonostante sia passato del tempo?
«Molto bene. Mi occupavo di mia mamma da qualche anno, assieme a mia sorella. Era stata in cura al San Giacomo dove si erano occupati di lei con competenza, sensibilità, empatia».



















































Arriva al Sant’Eugenio, dunque. Che accade?
«Era difficile persino trovare il reparto nei labirintici itinerari ospedalieri. A prima vista si trattava di un centro defilato».

Ma poi, una volta trovata la strada?
«Si viveva un clima di complessiva disorganizzazione».

Ossia?
«Locali inadatti, accoglienza al minimo, personale mortificato, infermieri allo sbaraglio».

In che condizioni trovò il reparto?
«Francamente pietose. Non c’era la minima continuità con il centro del San Giacomo. Al Sant’Eugenio regnava il caos».

APPROFONDISCI CON IL PODCAST


Anche sotto il profilo delle competenze?

«Proprio sotto questo aspetto c’era la distanza maggiore dall’altro ospedale (il San Giacomo, ndr). Ricordo molto bene che vi era una forte contrarietà nei confronti della dialisi peritonale che favorisce le cure a domicilio del paziente. Noi venivamo da un’esperienza opposta. Mia madre aveva convissuto con la patologia grazie alle cure a domicilio. Io e mia sorella facemmo formazione e alla fine riuscimmo a garantirle una vita dignitosa sotto il profilo terapeutico. I vantaggi furono enormi. Mia madre fu accudita e curata. Quei medici che le prescrissero la dialisi domiciliare le allungarono la vita».

Ma, scusi, l’emodialisi è così differente?
«Senza paragone. L’emodialisi prevede spostamenti lunghi e afflittivi del paziente che viene portato in un centro di trattamento e sottoposto a sedute prostranti. La mia esperienza dice che la dialisi domiciliare si accorda con una qualità della vita migliore».


Lei non ha mai incontrato Roberto Palumbo eppure il reparto che ha descritto sembrava condizionato dai suoi insegnamenti.

È così. Si praticava un’idea superata della nefrologia».


Vai a tutte le notizie di Roma

Iscriviti alla newsletter di Corriere Roma

9 dicembre 2025 ( modifica il 9 dicembre 2025 | 14:59)