Facciata laterale della casa vista dall'esterno, grande vetrata e prato verdeIl prospetto sud della casa

«Ci sono momenti nella vita di una casa in cui devi necessariamente fare determinati lavori. A trent’anni ne servono alcuni, a cinquant’anni altri. Quando supera i settanta andrebbe praticamente ricostruita. Parliamo di impianti. Riscaldamento, acqua, elettricità…È qui che le cose si complicano. Il restauro è stato un processo lungo e complicato, ma l’avevamo messo in conto».

Craig Bassam e Scott Fellows, fondatori del brand di arredamento e design BassamFellows, si sono trasferiti a Hodgson House nel 2007 e stanno ancora dando gli ultimi ritocchi. Non è un edificio come tanti, richiedeva particolari cautele.

Il progetto, del 1950, è di Philip Johnson, che a New Canaan, Connecticut, costruì anche la sua casa-manifesto, una scatola trasparente considerata un gioiello dell’architettura moderna, la Glass House. «Nei dettagli e nelle proporzioni le due costruzioni hanno molto in comune. Allo stesso tempo sono molto diverse», osservano i proprietari. Spiegano che i loro amici, conoscendo la Glass House, si aspettavano qualcosa di simile. «Il fatto è che la villa dove abitava Philip Johnson è molto più radicale. Questa nasce per una famiglia con quattro figli».

Per anni, Bassam e Fellows ci sono passati davanti chiedendosi come fosse all’interno. «È un’architettura misteriosa, si svela solo addentrandosi lungo il vialetto d’ingresso. La prima volta che abbiamo fatto un sopralluogo siamo rimasti sbalorditi dalla sua bellezza, ha una potenza incredibile. Abbiamo capito subito che sarebbe diventata casa nostra. Lo sapevamo e basta».

Scott Fellows e Craig Bassam intorno al tavolo di Poul Kjærholm.Scott Fellows e Craig Bassam intorno al tavolo di Poul Kjærholm

La signora Hodgson era scomparsa da poco e gli eredi si stavano confrontando sul futuro della proprietà. Non volevano farne un museo, preferivano saperla abitata, allo stesso tempo temevano che i nuovi proprietari facessero modifiche sostanziali e la snaturassero. Per questo, avevano avviato il lungo iter d’iscrizione al Registro Nazionale dei luoghi storici.

Bassam e Fellows devono essere sembrati gli acquirenti ideali. Cultori del bello ed estimatori di Johnson, Craig, architetto, e Scott, direttore creativo passato dalla moda al design, a New Canaan avevano già restaurato una casa modernista, dove vivevano. Sapevano cosa fare, insomma.

Piccole panche in legno, cassetti a muro gialli, quadro colorato e vetrataUno scorcio della camera da letto principale

Dopo il trasloco non hanno toccato niente per un po’: «Volevamo capire di cosa aveva davvero bisogno la casa, cosa funzionava e cosa no. Ha una struttura molto particolare, c’è voluto un po’ di tempo per conoscerla a fondo». Che ci fossero problemi importanti da affrontare era chiaro: «Ogni volta che pioveva forte, il seminterrato si allagava. E d’estate senz’aria condizionata non si poteva stare. Negli anni Cinquanta non faceva caldo come oggi». Adesso l’aria condizionata c’è, ma non si vede.

Sono riusciti a trovare delle unità di ventilazione sufficientemente piccole da stare all’interno degli armadi esistenti, e a farle funzionare senza modificare i soffitti. Hanno rifatto anche i bagni, già ristrutturati negli anni Settanta, e riconfigurato la cucina per renderla più funzionale, mantenendo comunque buona parte dei mobili originali. La stanza di servizio accanto è diventata una sala da pranzo, e hanno lavorato sull’illuminazione per calibrarla al meglio.

«Sostanzialmente ci siamo chiesti: cosa possiamo fare per assicurare a questa casa altri cento anni? E la risposta è stata: renderla più vivibile e confortevole, anche per le generazioni future. L’essenza è rimasta intatta. Pur essendo stata costruita negli anni Cinquanta, l’architettura di Johnson ha una qualità senza tempo».

Camera da letto con lenzuola bianche, testiera e comodino di legno e lampada nera a sospensioneLa camera degli ospiti

Scegliere gli arredi per Hodgson House non è stata impresa facile. «Nella casa precedente avevamo una bellissima collezione di pezzi modernisti, ma quando li abbiamo portati qui abbiamo visto che non funzionavano affatto. Gli unici che ci convincevano erano i prototipi originali dei nostri pezzi. Li avevamo conservati e li abbiamo trasferiti qui. Ci piace averli intorno». Col tempo hanno aggiunto altri pezzi progettati appositamente per questo spazio, i mobili di Poul Kjærholm, di cui fanno collezione, e altri arredi selezionati con estrema attenzione.

Non volevano diventasse una casa monocolore, super minimale, con arredi tutti bianchi o tutti grigi. Hanno puntato più su un calore artigianale, tattile, la loro cifra da sempre. «Ma anche sul rigore. O meglio sulla serietà. Nel design l’eccentricità e lo humour non ci piacciono. E in questa casa qualsiasi irriverenza sarebbe stata fuori luogo».

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