L’ospedale dell’Angelo di Mestre è ai vertici in Italia in base al rapporto dell’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari del ministero della salute. È una delle due strutture in tutta Italia, assieme all’ospedale di Sivigliano in Piemonte, a essere stata valutata con livello “alto” o “molto alto” in tutte le otto aree cliniche prese in considerazione.

Il quadro emerge dal Piano nazionale esiti 2025 presentato da Agenas, che ha individuato la presenza di tre ospedali “eccellenti” in Veneto: oltre a Mestre, hanno ottenuto ottimi risultati anche Montebelluna e Cittadella.

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Le otto aree cliniche considerate per la valutazione sono cardiocircolatorio, nervoso, respiratorio, chirurgia generale, chirurgia oncologica, gravidanza e parto, osteomuscolare, nefrologia. «È il risultato di un lavoro di squadra – commenta il direttore generale dell’Ulss 3, Edgardo Contato -. Se un ospedale, con i suoi servizi, ottiene un riconoscimento di questo tipo tra 1117 strutture, è una soddisfazione il cui merito va dato a chi quotidianamente opera per ottenere questo risultato. Ed è la dimostrazione di un corretto livello di servizio per la popolazione, lo standard che i cittadini veneti si meritano: l’area metropolitana, da Portogruaro a Chioggia, è seguita in maniera adeguata».

Oltretutto, ha aggiunto il dg, questo succede «in un’azienda con un bilancio particolarmente difficile da gestire, che prevede il deficit più alto in assoluto». E ora, conclude, «entreremo nel dettaglio delle voci di valutazione per capire dove si può ancora migliorare. La difficoltà è anche mantenere questa posizione». Per il direttore sanitario, Giovanni Carretta, «il risultato è stato possibile grazie a un meccanismo di integrazione: l’eccellenza di un ospedale è il risultato di tutti, se Mestre brilla è perché ci sono altri ospedali che fanno un lavoro complementare: ad esempio quello di Venezia è primo nella regione, e quarto in Italia, per i tempi di cura della frattura al femore».

Aggiunge Massimo Zuin, direttore dei servizi socio-sanitari: «La sfida oggi è quella di creare un legame sempre più stretto con i cittadini: nel 2026 avremo le case della comunità, quindi l’espansione della medicina territoriale: un lavoro a stretto contatto con la popolazione, per indirizzarne i bisogni».