Prima che esplodesse il 9 dicembre di tre anni fa, l’inchiesta sul Qatargate era già sulle scrivanie di diversi giornalisti. Un gruppo riservato di investigatori l’aveva condivisa con la stampa, anticipando operazioni e perquisizioni, dettagli e indagati, persino le centinaia di migliaia di euro trovate a casa dell’ex europarlamentare Antonio Panzeri, prima che fossero trovate. È il contenuto di un fascicolo a parte dell’inchiesta, aperto dal giudice istruttore Olivier Anciaux, sulla scorta di una denuncia contro ignoti presentata nel 2023 dagli altri due arrestati: l’ex assistente di Panzeri, Francesco Giorgi, e sua moglie Eva Kaili, all’epoca vicepresidente dell’Europarlamento. L’accusa: violazione del segreto istruttorio. In questi giorni, questo materiale, che Huffpost ha potuto visionare, è sotto la lente d’ingrandimento dei giudici della Corte d’accusa, il riesame belga che deciderà se il Qatargate è un’inchiesta condotta in maniera corretta e quindi se si può dar luogo al processo oppure se è da archiviare, come chiedono Giorgi e Kaili.
Al centro delle accuse c’è Hugues Tasiaux, direttore dell’Ufficio centrale per la repressione della corruzione (Ocrc), diventato il principale sospettato delle fughe di notizie. La svolta a giugno 2024, quando il fascicolo è passato all’Ispettorato generale della polizia (Aig) e affidato al commissario Alexis Faure. Il 6 febbraio 2025 sono state effettuate perquisizioni nell’abitazione di Tasiaux e presso la sede dell’Ocrc. Inizialmente Tasiaux nega qualsiasi rapporto con i giornalisti, poi ammette di aver “commesso degli errori”, poi menziona l’esistenza di un “accordo” tra alcuni giornalisti e la procura federale. Una circostanza confermata da messaggi scambiati il 28 novembre 2022 e il 12 dicembre 2022 con il procuratore federale Raphael Malagnini per coordinare i contatti con la stampa e assicurare il maggiore impatto mediatico possibile all’inchiesta.
Un’operazione riuscita, dal momento che il Qatargate è deflagrato ovunque in Europa e nel mondo: sembrava l’Armageddon per le istituzioni europee, prometteva di asfaltare tutti i presunti legami di corruzione con l’Ue, partendo dal Qatar, il paese che si era aggiudicato i mondiali di calcio 2026, per finire ad altri paesi terzi con rapporti poco chiari nel Parlamento europeo, era la tesi in voga all’epoca, nei corridoi dell’Eurocamera, rappresentata come un covo di lobbisti e spie secondo il racconto mediatico prevalente. In realtà, l’inchiesta si è fermata ai collegamenti tra Bruxelles, il Qatar e il Marocco. Ma, a distanza di tre anni, non c’è ancora un processo, appunto. Le udienze in corso in questi giorni per verificarne l’opportunità sono state più volte rinviate. Il giudice istruttore iniziale, Michael Claise, si è dimesso il 20 giugno 2023 per conflitti d’interesse: suo figlio è socio d’affari del figlio di una eurodeputata citata nell’inchiesta, Maria Arena.
Sull’iPhone di Tasiaux gli investigatori trovano traccia di un gruppo Signal, cancellato dall’indagato, intitolato KnackSoirQatar, laddove Knack e Le Soir sono le due testate belghe, rispettivamente fiamminga e francofona, che hanno fatto gli scoop sul Qatargate. La sera dell’8 dicembre 2022, alla vigilia delle perquisizioni, i giornalisti Louis Colart (Le Soir) e Kristof Clerix (Knack) condividono con Tasiaux una bozza dei loro articoli, con parti in bianco da completare a discrezione degli inquirenti. Nei testi, pubblicati il giorno dopo, c’è anche la notizia della cassaforte a casa di Panzeri dove vengono trovati 600 mila euro, frutto della corruzione dal Qatar, secondo le accuse. Un’informazione che, secondo i titolari della seconda inchiesta, quella sulla correttezza dell’indagine “madre”, era nella disponibilità dei soli servizi segreti. Ma c’è di più, a vedere le carte del nuovo filone di indagine. Gli articoli in questione menzionavano anche l’importo esatto del denaro trovato, prima ancora che fosse conteggiato dall’ufficio contabile della polizia.
Il 17 giugno scorso, un nuovo fermo per Tasiaux, nuova perquisizione nella sua abitazione. Da quanto emerge dagli atti, il sospettato sceglie di non rispondere nel merito, ma suggerisce agli investigatori di chiedere al “procuratore Malagnini”. Nello stesso giorno, finisce in stato di fermo anche Bruno Arnold, capo delle indagini del Qatargate. Anche la sua abitazione viene perquisita. Nel mirino degli inquirenti, un messaggio tra Tasiaux e Arnold il 28 novembre 2022, dieci giorni prima che l’inchiesta esplodesse sui media di tutto il mondo. Nel testo si parla di un appuntamento con alcuni giornalisti e si chiede di invitare anche un responsabile dei servizi segreti belgi. Tutti rapporti riservati che non risultano negli archivi. Per mancanza di tempo, è la spiegazione che Arnold avrebbe fornito negli interrogatori.
Oggi Tasiaux è accusato di violazione del segreto istruttorio, violazione del segreto professionale e violazione della vita privata. È stato rilasciato con condizionalità, tra cui quella di “non lavorare sul dossier Qatargate né consultarne gli atti”. Ma ora le accuse a suo carico sono parte del materiale che i giudici della Camera d’accusa stanno setacciando per decidere se il Qatargate può diventare un processo oppure no. La decisione è attesa per febbraio, a meno che le udienze di questi giorni non vengano ulteriormente rinviate. La posta in gioco è altissima, non solo per gli indagati. Da un lato, c’è la reputazione dell’Unione europea e in particolar modo del Parlamento europeo, già abbondantemente colpiti dal clamore mediatico dell’inchiesta. Dall’altro, c’è la reputazione del sistema giudiziario del Belgio, il paese che ospita la maggior parte delle istituzioni europee e che ha sfornato uno scandalo per corruzione che dopo tre anni rischia di crollare su stesso, sotto il peso dei dubbi per come è stato condotto il lavoro investigativo, aggravati anche dai tratti decisamente disumani delle condizioni carcerarie per gli arrestati.