Ascolta la versione audio dell’articolo

La sua voce è limpida, curiosa, segnata da quell’aplomb che è insieme misura e ironia tipicamente british. Sta camminando tra gli alberi, di ritorno dalla lezione mattutina di pilates, quando comincia a parlare. Da oltre quarant’anni, Nick Knight, classe 1958, ridefinisce il linguaggio della moda con immagini che sembrano venire dal futuro, attraversando pittura, scultura, intelligenza artificiale, cinema e realtà aumentata. Le sue fotografie non cercano la verità né si rifugiano nella finzione. Nascono da una crepa nel mondo e ti raggiungono senza filtri, ricordandoti che la bellezza non si guarda, ma si sente, come se il mondo stesso ti prendesse tra le mani.

Lara McGrath alias @thegoatdancer esplora le potenzialità del second-hand, con capi acquistati sue Bay nel fashion film “The Goat Dancer” (2025), di Nick Knight.

«Da ragazzo sognavo di diventare medico. Volevo esplorare l’essere umano, ma non mi piaceva stare in ospedale. Con la fotografia invece ho trovato un altro modo per farlo. Chiedevo in prestito la macchina fotografica di mio padre, scattavo nei mercati, alle fermate degli autobus: era una ragione per parlare con chiunque. Bastava chiedere: “Posso scattarti una foto?” E nove su dieci dicevano sì».

Quella tensione verso l’incontro è rimasta negli anni. «Io fotografo per capire, non per documentare. Ho sempre cercato di creare ciò che non ho mai visto». Da qui nasce una visione che anticipa i tempi, un linguaggio capace di muoversi tra moda, musica e cinema, ridefinendo in modo radicale l’estetica e il suo risvolto etico, un tema a lui molto caro.

Colin Jonescon abiti Matières Fécales, 2025.

I primi progetti, come Skinheads (1982), nascono dall’osservazione delle sottoculture. Negli anni Ottanta, l’incontro con Marc Ascoli e Yohji Yamamoto segna la prima svolta: con Peter Saville, la fotografia si fa costruzione concettuale e linguaggio visivo autonomo. Negli anni Novanta, accanto ad Alexander McQueen e John Galliano, porta la moda in una dimensione barocca in quieta ed elettrica.

Scopri di piùScopri di più

Con SHOWstudio, fondato nel Duemila, «sognavo di portare gli show online», racconta. «Con i primi riuscivamo a raggiungere solo poche centinaia di persone, poi con quello di Alexander McQueen, Plato’s Atlantis, siamo arrivati a milioni di utenti. Volevo che la moda smettesse di essere un club esclusivo by invitation only e che tutti potessero entrarci». SHOWstudio è diventato così un laboratorio di democratizzazione della moda, un ponte tra creatività e pubblico globale.