A sei o sette anni ricordo che un amico di famiglia, di qualche anno più grande di me, mi raccontò di come avesse scoperto di essere daltonico. Nella sua casa d’infanzia c’erano due bagni, uno verde e uno blu, e per chiedere alla madre di venirlo ad aiutare aveva urlato la classica frase dei bambini: «mamma ho finito!»; al che lei gli aveva chiesto in quale bagno fosse e lui aveva risposto senza dubbio «in quello arancione!».
Al tempo mi aveva fatto sorridere il pensiero che qualcuno di così vicino a me non vedesse il mondo come lo vedevo io: la mia maglietta preferita per lui poteva essere brutta; il condimento della pizza aveva lo stesso odore, ma un colore diverso; persino la tuta di Spiderman non era rossa e blu come lo era per me.
Crescendo, mi sono reso conto di come convivere con una caratteristica visiva del genere potesse riservare delle insidie: nulla di debilitante, ma comunque delle difficoltà legate a un mondo tarato cromaticamente in maniera differente. Non avevo nemmeno mai pensato a che effetti potesse avere sul mio sport preferito, ma da qualche settimana se ne è cominciato a parlare un po’ di più.
Lo scorso 12 novembre, la Lega Serie A ha rilasciato un comunicato in cui presentava il nuovo pallone per i mesi invernali. Non è una novità, ormai siamo abituati a vedere due oggetti di gioco diversi per ogni stagione. Nel 2007 il campionato italiano stipulava un contratto con Nike e lanciava per la prima volta un pallone unico per tutte le partite. Per puro vezzo almanacchista, vi segnalo che la prima partita con il nuovo sistema è la Supercoppa Italiana di quell’anno, giocata a San Siro a metà agosto. Il primo gol lo realizza Daniele De Rossi, con il rigore che sancisce la vittoria di misura della Roma sull’Inter
Il passaggio è storico: termina l’era delle palle con gli stemmi delle squadre e inizia l’epoca dell’omologazione sferica – sullo stile di altri campionati europei. Dalla stagione 2007/08, i palloni utilizzati diventano quindi due: il classico ufficiale, per il periodo autunnale e primaverile, e il cosiddetto Hi-Vis (ad alta visibilità) per i mesi invernali. La grande differenza di quest’anno rispetto al passato è la scelta cromatica. Fino alla passata stagione il pallone invernale aveva sempre avuto un colore giallo. Sempre fluorescente – stiamo pur sempre parlando della trasposizione calcistica dei giubbotti catarifrangenti – ma giallo. Quest’anno, invece, la Lega ha cambiato rotta, passando a un pallone arancione.
L’operazione è stata giustificata con la necessità di fronteggiare ogni condizione atmosferica. Una motivazione strana: siamo in un mondo con sempre meno neve, e la Serie A decide di scegliere il colore di un pallone riservato esclusivamente ai campi coperti di neve. Cagliari-Genoa è stata la prima partita della storia della Serie A a essere giocata con un pallone arancione su un prato verde. Un abbinamento che ha attirato le critiche di una minoranza molto ampia della popolazione italiana: le persone daltoniche.
Secondo i dati Humanitas, in Italia ci sono circa 2 milioni e mezzo di daltonici. Un italiano su 30 ha una percezione alterata dei colori. A livello europeo, il daltonismo colpisce l’8% della popolazione maschile e l’1% di quella femminile. Gli uomini sono più colpiti poiché l’alterazione è relativa a un allele del cromosoma X.
Per capire se si è affetti si possono fare diverse verifiche, la più comune è il Test di Ishihara e consiste nel riconoscere numeri o simboli all’interno di una serie di tavole con cerchi di vari colori e dimensioni. Il test aiuta a fugare i dubbi poiché chi è daltonico potrebbe non vedere i numeri o confonderli con lo sfondo.

Qui sopra potete vedere alcuni esempi di queste tavole. Oltre a fare un rapido controllo della vostra percezione cromatica, potete intuire dove sto andando a parare. Un pallone arancione che scorre su un prato verde è evidentemente un problema per chi ha questa caratteristica della visione.
Il 25 novembre, nel programma Microfono Aperto di Radio Sportiva, l’opinionista Stefano Cecchi è intervenuto così: «Non è una polemica, è una disperata richiesta d’aiuto. Io sono daltonico. Sabato accendo il televisore e non vedo il pallone. Quel pallone nuovo arancione, finché va piano lo vedo, quando accelera e ci sono le mischie non lo vedo più, lo perdo». L’appello lanciato dal giornalista è rimasto inascoltato, ma non è il solo ad aver sollevato la questione.
Il presidente dell’Associazione Italiana Come vedono i daltonici, Stefano De Pietro mi ha raccontato di aver ricevuto tantissime mail di protesta dopo la giornata di debutto del pallone arancione: «Noi daltonici non vediamo il verde, lo percepiamo come ocra. Allo stadio in qualche modo ci si può arrangiare, ma in televisione manca la tridimensionalità. Ci è impossibile distinguere il pallone dal terreno di gioco». La problematica – mi spiega De Pietro – è fondamentalmente di sovrapposizione tra l’oggetto e lo spazio in cui si muove. Quando la palla era gialla, il problema esisteva già ma era più contenuto: il colore arancione rende praticamente impossibile distinguere la sfera in movimento.
Non è la prima volta che il daltonismo entra nel dibattito calcistico. Forse ricorderete, nel 2022, Svizzera-Camerun del girone eliminatorio.
La difficoltà nasce in relazione all’abbinamento tra colori delle maglie e terreno di gioco. I numeri e i calzettoni in giallo della formazione africana sono l’unica discriminante per distinguere le due squadre per chi ha questa caratteristica della visione.
Il caso è particolare, ma non è il primo caso di conflitto tra calcio e daltonismo. Sulla scia delle riforme volte all’inclusività, infatti, nel 2018 la Football Association diffonde un documento in materia con un triplice obiettivo: sensibilizzare sul tema gli addetti ai lavori; raccontare esperienze di giocatori e spettatori; suggerire interventi mirati a favorire l’inclusione.
Nell’elenco dei comportamenti inavvertitamente discriminatori si fa riferimento alla scelta non ponderata dei colori: situazione che può valere, appunto, per le maglie, per il pallone – che ha acceso i riflettori sulla questione in Italia – ma anche per il design dei siti web o le indicazioni sui biglietti delle partite. De Pietro mi ha raccontato che tra le difficoltà interfacciarsi con le mappe geografiche – cartacee, ma soprattutto telematiche – è una delle principali. L’appassionato di calcio daltonico può trovarsi in una condizione scomoda non solo a casa davanti al televisore, ma anche per raggiungere lo stadio.
Il documento elenca i principali abbinamenti cromatici, tra le maglie delle due squadre, che possono provocare difficoltà. Tra queste è presente il famigerato rosso contro verde, oggetto della polemica nella partita del mondiale qatariota.
Abbiamo constatato, perciò, che senza l’adeguata sensibilità al tema, gli appassionati di calcio rischiano di vedersi amputata la comprensione del gioco. Il rovescio della medaglia – date le grandi percentuali – è l’effetto che il daltonismo può avere sui giocatori. Il documento della FA analizza anche questo tema, raccogliendo la testimonianza di Matt Holland: «Ricordo una partita in cui noi vestivamo una divisa rossa e i nostri avversari verde scuro e non riuscivo a distinguere i due colori. In quella partita mi sono dovuto concentrare sul serio sui calzettoni perché riuscivo a distinguerli più facilmente e non potevo fare altro» – racconta l’ex centrocampista della Nazionale irlandese – «In allenamento, quando distribuivano le pettorine gli allenatori cercavano di assicurarsi che non fossero di due colori che mi sembravano simili. I colori peggiori erano sempre l’arancione e il verde perché sembravano quasi identici». Arancione e verde, appunto.
Holland non è l’unico calciatore ad aver raccontato la sua esperienza. Nel 2018, alla radio danese DR P3, un tifoso era intervenuto per raccontare quanto fosse stato difficile seguire l’amichevole pre mondiale tra Danimarca e Messico. Mentre i conduttori commentano arriva un’altra telefonata in diretta: «Ciao, mi chiamo Thomas. Sono daltonico e l’altro giorno in campo era difficile capire chi fossero i miei compagni e chi gli avversari» – «Ciao Thomas, in che squadra giochi?» – gli risponde il conduttore – «Nella nazionale danese».
Dall’altra parte della cornetta c’era Thomas Delaney, anima instancabile della Danimarca, futura semifinalista agli Europei. In un modo forse bizzarro, Delaney confessa al mondo la propria difficoltà e poco dopo – in un’intervista a Dpa International – approfondisce le dinamiche che deve affrontare quando le due squadre indossano divise a tinta unita (sia maglia che pantaloncini) dall’accoppiamento cromatico ostico: «Quando le persone sono vicine riesco a distinguerle bene, ma quando il ritmo è alto e sono più lontane è abbastanza difficile».
A giudicare dal percorso di Delaney, è confortante pensare che una carriera ad alti livelli non sia preclusa agli aspiranti calciatori daltonici. Naturalmente l’obiettivo dovrebbe essere di poter mettere chiunque graviti al mondo calcio – giocatori, tifosi, ma anche arbitri e addetti ai lavori in generale – nelle condizioni migliori possibili per godere appieno dell’esperienza calcistica, rispettando le linee guida espresse nel documento della FA.
De Pietro, alla fine della nostra conversazione, mi ha chiesto il favore di non utilizzare i termini come malattia, soffrire, patologie o analoghi. «Siamo sanissimi e normali» mi dice. Come altre volte in passato, la Serie A è sembrata semplicemente insensibile. Esiste un gruppo nutrito di appassionati che non ha potuto vedere il gol di Mandragora contro la Juventus o la doppietta di Jamie Vardy contro il Bologna.