di
Luigi Ferrarella

Milano, i pm e la Guardia di Finanza indagavano sul mancato versamento dell’Iva da parte dei venditori cinesi: ora la multinazionale ha siglato il patto con l’Agenzia delle Entrate. Che a settembre in una riunione in Procura, presente il viceministro dell’Economia, non aveva appoggiato la tesi dei magistrati

Prendere o lasciare. Prendere l’occasione di transare con l’Agenzia delle Entrate a una somma enorme ma pur sempre molto più bassa, 500 milioni di euro, dei quasi 3 miliardi calcolati dalla Guardia di Finanza e dalla Procura di Milano tra imposte, interessi e sanzioni; oppure lasciare questa occasione, oggi che era l’ultimo giorno per la scelta, e imboccare invece la strada del contenzioso formale davanti alla giustizia tributaria. Alla fine oggi Amazon ha scelto di staccare un assegno di mezzo miliardo di euro per chiudere almeno sul versante fiscale la contestata evasione Iva di venditori a distanza non comunitari, per il 70% cinesi, sulle vendite a distanza della piattaforma online nel 2019-2021.

Il viceministro in Procura

La scelta è tanto più non sorprendente dopo che il 10 settembre l’Agenzia delle Entrate, in una riunione in Procura a Milano alla quale aveva partecipato direttamente anche il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, accanto al direttore centrale dell’Agenzia, Vincenzo Carbone, aveva comunicato le ragioni per le quali non appoggiava la tesi dei 3 miliardi nel pur apprezzato lavoro dei pm e della Guardia di Finanza di Monza (condiviso dal Comando Generale).



















































La tesi del pm nel penale

La multinazionale di Jeff Bezos (187 miliardi di dollari di ricavi e 20 miliardi di utile netto nel 2024) è indagata per «dichiarazione fraudolenta» in base a una innovativa lettura del pm milanese Elio Ramondini, alimentata dalla super potenza di calcolo di un elaboratore della «Sogei» (Società generale d’informatica spa del ministero dell’Economia), a proposito dell’algoritmo predittivo di Amazon: e in particolare della sua prospettata indifferenza agli obblighi tributari che pendono invece su chi, come Amazon, metta in vendita sul proprio market-place in Italia merce di venditori extraeuropei (in questo caso prevalentemente cinesi), senza però dichiararne l’identità e i relativi dati all’Agenzia delle Entrate ai fini del pagamento del 22% di Iva da parte del venditore extraeuropeo.

La Procura addebita ad Amazon di non avere ottemperato nel 2019-2021 agli obblighi di reportistica rinforzata all’Agenzia delle Entrate esistenti in quei tre anni: e perciò contestava al colosso americano il concorso nella evasione di Iva compiuta dai venditori non comunitari, il che si traduceva in una quantificazione di un miliardo e 200 milioni di euro di imposte, lievitata a 3 miliardi con gli interessi e soprattutto le sanzioni.

La tesi dell’Agenzia nel fiscale

L’Agenzia delle Entrate non ha invece supportato questo tipo di lettura dei pm, ritenendo piuttosto che si potesse se mai contestare ad Amazon una più specifica norma esistente non sul concorso, ma sulla sola responsabilità solidale della piattaforma nella evasione fiscale dei terzi: responsabilità solidale a quel punto però depurata da 900 milioni di sanzioni perché assimilata essa stessa ad una sorta già di sanzione impropria, e ulteriormente ridotta nella quantificazione dell’imposta evasa dai venditori terzi sulla base di un punto di equilibrio convenzionale (trovato nelle serrate trattative tra il Fisco, i tributaristi Guglielmo Maisto e Marco Cerrato, e i penalisti Guido Alleva, Marco Calleri e Luca Luparia) sui giorni (infine stimati nove) di ragionevole giacenza nei magazzini italiani di merce partita dalla Cina ben prima che l’acquirente italiano l’acquistasse come preventivato dall’algoritmo predittivo di Amazon.

Il futuro dell’inchiesta

Il gruppo immagina che la Procura non intenda abbandonare la propria lettura di dichiarazione fraudolenta per la quale sono indagati anche tre manager tra cui il vicepresidente «global tax» Kurt Lamp, ma in questo momento ritiene evidentemente più vantaggioso l’accordo fiscale, con il quale peraltro porta a casa anche un insperato alleato processuale (l’Agenzia delle Entrate sulla esclusione di quei rilievi penali di frode fiscale che invece la Procura insisterà a propugnare) nell’eventuale procedimento penale che in futuro dovesse essere comunque chiesto (e se mai ottenuto) dal pm. Il quale peraltro 10 giorni fa ha parzialmente aperto con l’ipotesi di contrabbando un nuovo fronte, ordinando l’ispezione del centro logistico di Amazon per verificare la provenienza e la «traiettoria» di alcuni stock di beni (destinati alla vendita sul market place) fisicamente presenti e posti sotto sequestro.

L’altro capitolo (già chiuso)

L’accordo odierno non c’entra con l’altra intesa di una settimana fa, quando Amazon Italia Transport srl, per sottrarsi al rischio di misura interdittiva del divieto di pubblicità chiesta dal pm Paolo Storari per frode fiscale 2017- nella eterodirezione digitale dei lavoratori incaricati da Amazon delle consegne dal magazzino alla destinazione scelta dal cliente acquirente del prodotto online, ha modificato parte dell’algoritmo di gestione degli autisti dei pacchi e versato 187 milioni di euro all’Agenzia delle Entrate e all’Inps tra tasse, contributi, sanzioni e interessi.
lferrarella@corriere.it


Vai a tutte le notizie di Milano

Iscriviti alla newsletter di Corriere Milano

10 dicembre 2025