di
Simone Golia
Maura, moglie del fratello dell’ex campione del mondo: «L’ex Juve Marchisio gli ha consigliato di farsi visitare, per curarlo serve un milione e mezzo di dollari»
«Una vita senza di lui non la immagino, proprio non ci riesco». Maura risponde da Porto Taverna, una decina di chilometri da Olbia. È lì che ha conosciuto Matteo, era il 1997: «Eravamo poco più che ventenni. Dopo quella vacanza non ci siamo più lasciati». Matteo di cognome fa Materazzi, procuratore di calciatori e fratello di Marco, ex difensore di Inter e Nazionale. Oggi di anni ne ha 49 e da settembre la Sla ha stravolto la sua vita e quella dei suoi cari.
Maura, tre giorni fa ha creato una raccolta fondi che ha raggiunto i 200 mila euro.
«L’obiettivo è salvare la vita di mio marito e di chi in futuro affronterà la stessa malattia. Penso anche ai nostri figli, Geremia di 18 anni e Gianfilippo di 16, che hanno fra il 15 e il 20% di possibilità di sviluppare la medesima mutazione».
Quanto è critica la situazione di Matteo?
«Abbiamo solo una speranza, creare una terapia ASO personalizzata per la mutazione rara che lo ha colpito. Nel suo caso, poi, c’è una difficoltà in più: la proteina che si accumula nelle cellule neuronali e che le intossica è anche funzionale alla cellula stessa. Il che rende la ricerca di una cura più difficile».
«Siamo in contatto con la Columbia University e il dottor Shneider, un pioniere. Servono un milione e mezzo di dollari. E tempo».
«Un anno, ma chissà se lo avremo».
Come è cominciato tutto?
«Da una forte depressione, che lo ha portato a chiudersi, a non voler più uscire con gli amici. Ci hanno spiegato che potrebbe essere stata il preludio alla malattia».
«Ha iniziato a zoppicare, pensava di essersi fatto male saltando una staccionata. Cadeva spesso, camminava in modo robotico, si stancava molto. Ma non voleva fare esami, non gli è mai piaciuto».
«A una partita di nostro figlio Gianfilippo, che gioca nelle giovanili della Lazio. Un torneo organizzato dalla Fondazione Vialli e Mauro. Matteo è sugli spalti, non salta una partita. Perde l’equilibrio, cade. Lì vicino c’è Claudio Marchisio (ex Juve), gli chiede come sta, lo ascolta, insinua il dubbio. “Ti sei fatto vedere da qualcuno?”. La Fondazione ci mette in contatto con il professor Sabatelli del centro Nemo di Roma. Per la diagnosi non ha avuto bisogno neanche di fargli gli esami».
Come lo avete detto ai figli?
«Tornando a casa ho provato a chiamare la mia psicologa per un consiglio, ma non mi ha risposto. Sono stata diretta con loro, senza troppi giri di parole. Quando l’ho sentita, mi ha detto che ho fatto bene».
«Abbiamo pianto per una settimana intera, giorno e notte. Poi abbiamo reagito. Io sono una persona pragmatica, lui ottimista per natura».
«In pochi mesi ha perso l’uso delle gambe, finendo sulla sedia a rotelle. Oggi non muove più neanche le braccia, solo un po’ le mani. La malattia sta avanzando velocemente. Vorrebbe vedere crescere i figli ma non ci crede. È realista, il 50% di malati di Sla muore entro tre anni».
La donazione più generosa?
«Non posso fare nomi ma è una persona del mondo del calcio. La conoscevamo anche se non in modo stretto. Ci siamo sorpresi fino a un certo punto, è speciale».
In molti si sono chiesti: e il fratello Marco?
«Per anni hanno avuto un rapporto complicato, ma dall’inizio della malattia sono tornati a parlarsi quotidianamente. Anche Marco si sta spendendo nelle sue possibilità, non possiamo dimenticare che ha una famiglia. Ma è accanto a lui, come tutti noi. E di questo Matteo è felicissimo».
3 agosto 2025
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