di
Giuseppe Sarcina
Il premier canadese Carney e i leader europei spingono perché Kiev valuti la cessione in cambio di garanzie
Si cerca, freneticamente, una soluzione di compromesso tra americani, europei e ucraini. Oggi è fissato un summit online della «coalizione dei Volenterosi», i circa 30 Paesi che sostengono la resistenza ucraina. La riunione, convocata dal tandem franco-britannico alla guida del gruppo, discuterà delle garanzie di sicurezza da fornire a Kiev. Ma è chiaro che il confronto si allargherà alla proposta complessiva che ieri Volodymyr Zelensky ha inviato a Washington.
Il leader ucraino ha parlato per telefono, si presume di ricostruzione del Paese, con il segretario al Tesoro Usa, Scott Bessent, con il genero di Trump, Jared Kushner e con Larry Flink, amministratore delegato del fondo BlackRock. Sempre ieri il premier britannico Keir Starmer, il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Friedrick Merz si sono sentiti al telefono per 40 minuti con Donald Trump. Non è andata bene.
Trump prima ha detto ai giornalisti che «ci siamo parlati in termini forti e i sono stati motivi di disputa con alcune persone». Poi ha rivelato: i leader europei «vogliono un incontro con noi e con Zelensky nel fine settimana in Europa».
Infine è tornato ad attaccare il presidente ucraino, sottolineando «la corruzione» che dilaga nel Paese. A questo punto «Zelensky deve essere realista. Non vogliamo perdere altro tempo». Gli americani premono sul presidente ucraino affinché ceda anche la parte di Donbass ancora nelle mani del suo esercito. A quanto pare i leader europei e il premier canadese Mark Carney lo stanno invitando a «riflettere». La contropartita potrebbero essere, appunto, robuste «garanzie di sicurezza».
Il passaggio chiave è quello che prevede tutele fornite dagli Stati Uniti, simili all’articolo 5 della Nato (tutti gli alleati corrono in soccorso di un partner aggredito). È un’idea suggerita mesi fa dall’Italia e che compariva già nella prima bozza presentata da Witkoff. Ora, il problema è come dare concretezza a questo impegno, sottoscritto anche dagli europei. I «Volenterosi» ne parleranno oggi e poi dovrebbero provare a tirare le fila nella prossima riunione, fissata per lunedì 15 dicembre a Berlino.
L’ingresso nella Ue
Stando alle indiscrezioni, pubblicate dal Washington Post, si starebbe ipotizzando l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea già nel 2027. Ma, a quanto risulta, questa data non è apparsa nel confronto tra i ministri degli Esteri Ue riuniti da ieri a Leopoli, proprio per esaminare questo tema. Finora, la Commissaria all’allargamento, la slovena Marta Kos, aveva fissato l’asticella al 2030, sollevando le perplessità di Spagna, Italia, Grecia, Portogallo. Il 2027 sembra davvero troppo vicino.
Il nodo delle riserve monetarie russe
La terza questione riguarda l’utilizzo delle riserve monetarie russe bloccate in Europa, in particolare in Belgio. Ora la presidente della Bce, Christine Lagarde, accoglie con favore la nuova versione allo studio della Commissione europea: considerare i 185 miliardi custoditi dalla società belga Euroclear come «un prestito di riparazione», da restituire alla Russia quando comincerà a ripagare i danni di guerra. Lagarde, contraria al semplice sequestro dei beni, ieri si è espressa così in un evento organizzato dal Financial Times: «L’ultima soluzione ipotizzata per finanziare l’Ucraina attraverso i titoli russi congelati è, tra quelle viste finora, la più praticabile e la più coerente con il diritto internazionale ed europeo. Se riusciamo a spiegare la nostra posizione così com’è, credo che gli investitori in asset denominati in euro capiranno che non si tratta di una pratica che ci obbliga a rimuovere asset sovrani perché ci fa comodo. Si tratta di un caso del tutto eccezionale».
L’ostacolo belga
Ma, intanto, il primo ministro belga, Bart De Wever, avverte che il suo Paese potrà ricorrere alla Corte di Giustizia europea qualora la Ue decidesse di sequestrare le riserve russe in possesso di Euroclear. Lagarde si è anche detta d’accordo con Mario Draghi: «L’Europa dovrebbe emettere titoli congiunti per finanziare la difesa. Così come è stato fatto per il Covid».
Il monito di Lavrov
Fin qui il reticolo europeo. Mosca, per il momento, attende, senza, però, interrompere i bombardamenti in Ucraina. Il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, sostiene che l’Occidente non sia unito: solo Trump capisce quali siano «le cause profonde della guerra», mentre l’Europa «sta bloccando il processo di pace e sta cercando di incitare il cosiddetto leader ucraino e i membri del suo regime a continuare a combattere fino all’ultimo soldato». Infine, Lavrov ha aggiunto: «Non andremo in guerra con l’Europa. Ma risponderemo a qualsiasi mossa ostile, incluso il dispiegamento di contingenti militari europei in Ucraina e l’espropriazione dei beni russi».
10 dicembre 2025 ( modifica il 10 dicembre 2025 | 23:01)
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