di
Massimiliano Jattoni Dall’Asén
Il rapporto Ocse mostra un aumento generalizzato del prelievo nei Paesi avanzati. L’Italia risale più rapidamente della media, con un sistema che pesa soprattutto sul lavoro
C’è un dato, nell’ultimo Revenue Statistics dell’Ocse, che riaprirà inevitabilmente il dibattito sul fisco italiano: nel 2024 le entrate tributarie sono salite al 42,8% del Pil, in aumento di 1,2 punti rispetto al 2023. Abbastanza per collocare il nostro Paese al quarto posto tra quelli avanzati per peso complessivo delle tasse rispetto alla ricchezza prodotta. Un gradino sotto il podio, dunque, dove stanno — e questo non stupisce — Danimarca (45,2%), che conferma il primato dell’anno scorso, Francia (43,5%) e Austria (43,4%). In fondo alla classifica, lontanissimo, il Messico, con il suo 18,3% e il suo «primato» nel fisco «light» (seppur in crescita dal 17,7% dell’anno prima).
Una tendenza che non riguarda solo l’Italia (ma noi corriamo di più)
L’aumento del rapporto tasse/Pil non è una peculiarità italiana: in 22 dei 36 Paesi per i quali l’Ocse dispone già dei dati 2024, il peso del fisco è cresciuto. La media dell’organizzazione sale così dal 33,7% del 2023 al 34,1% del 2024, raggiungendo — come ha riportato l’Ansa citando i dati dell’organizzazione — «il livello più alto degli ultimi anni». Colpisce però un altro aspetto: nel 2023, con i dati definitivi, l’Italia era all’ottavo posto. Nel giro di un anno guadagna quattro posizioni, segno di una progressione più rapida rispetto ad altri Paesi europei.
Da dove arrivano le entrate: il «motore» non cambia
In Italia la struttura del gettito resta la stessa, quasi immutabile da anni.
A trainare il totale sono soprattutto i contributi previdenziali, che valgono il 29,6% delle entrate complessive (contro una media Ocse del 25,5%). Sono loro — non l’Iva (15,7%) né le imposte sulle società (6,6%, contro l’11,9% dell’Ocse) — a rappresentare il «cuore» del nostro sistema fiscale. Seguono le imposte sul reddito delle persone fisiche, al 27%, una quota superiore alla media Ocse (23,7%) e ben lontana dal modello danese, dove la tassazione sul reddito vale più della metà del gettito totale ma si accompagna a contributi sociali quasi nulli.
Insomma, si conferma la solita immagine di un Paese che tassa in modo intenso il lavoro, sia direttamente sia attraverso i contributi, e molto meno i consumi e i profitti.
Il confronto internazionale: dove pesiamo di più e dove di meno
Il confronto internazionale aiuta a capire meglio questa dinamica. Germania, Spagna, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti restano tutti al di sotto della soglia italiana, anche se con differenze significative nei modelli di welfare e nelle scelte distributive. Non è infatti tanto il livello assoluto delle tasse a preoccupare, quanto la loro composizione e l’efficienza della spesa pubblica, Danimarca e Francia, che ci precedono, hanno tradizionalmente sistemi pubblici più estesi, capaci di restituire ai cittadini, in termini di servizi, una parte importante di ciò che prelevano. L’Italia, invece, continua a trovarsi in una posizione intermedia, con una pressione fiscale elevata e una percezione dei servizi spesso meno soddisfacente.
Un indicatore, molti interrogativi
Non si tratta, dunque, soltanto di stabilire se il fisco italiano sia troppo alto, ma di capire come è costruito e quanto riesce a sostenere crescita, produttività e occupazione. L’Ocse, nei suoi rapporti più recenti, insiste sul fatto che un livello così elevato di prelievo sul lavoro diventa un ostacolo competitivo in un’economia con potenziale di crescita ridotto. A questo si aggiunge il tema, tutto interno, dell’efficienza della spesa pubblica: pagare il 42,8% del Pil in imposte e contributi significa aspettarsi molto dallo Stato, soprattutto in termini di servizi e infrastrutture.
L’indicazione Ocse
L’indicazione che viene da Parigi, insomma, non è una condanna ma una fotografia precisa: l’Italia è un Paese ad alta tassazione, ma non necessariamente ad alta redistribuzione o alta efficienza. E nella misura in cui gli spazi di bilancio restano compressi, le scelte future dovranno tenere insieme alleggerimento del carico sul lavoro, riordino della spesa e un nuovo equilibrio tra i diversi pilastri del prelievo. L’obiettivo, per una volta, potrebbe non essere scalare o scendere in classifica, ma crescere in modo sostenibile nonostante la classifica.
10 dicembre 2025 ( modifica il 10 dicembre 2025 | 14:56)
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