«Ha deciso di farsi trasportare fino a Tricase sobbarcandosi un viaggio di oltre 600 chilometri. Sono rimasto al Sud insieme a pochi colleghi: volevo dimostrare che anche qui si possono fare cose buone»

Da poco è uscito il suo nuovo romanzo Rizzoli, Vita e peccati di Maria Sentimento, l’uscita era prevista per maggio ma l’autrice, Catena Fiorello, ha raccontato al Corriere della Sera che era stato tutto rinviato per un problema di salute. «Ho rischiato la vita», ha dichiarato spiegando di essere stata salvata grazie a un’operazione eseguita da Massimo Viola, medico dell’ospedale di Tricase, in provincia di Lecce. Il quale racconta quelle fasi drammatiche.

Dottor Viola, ha visto cosa ha detto di lei la scrittrice Catena Fiorello?
«È stata qui a Tricase. L’ho operata io, ma non sapevo che avesse parlato di me, anche perché è passato del tempo da quando è venuta da noi e, ovviamente, la cosa è rimasta riservata, almeno da parte nostra”.

Ha raccontato al Corriere che lei le ha salvato la vita, mentre a Roma, dove la seguiva uno specialista di chiara fama, avrebbe rischiato di morire.
«Noi qui abbiamo fatto il nostro dovere. Interventi chirurgici complessi ne facciamo tanti, sono all’ordine del giorno, ma la verità è che Catena Fiorello è stata trascurata prima di venire nel nostro ospedale per farsi curare, ma so che ora sta bene e mi fa molto piacere».

Una volta tanto i viaggi della speranza portano al Sud?
«Sì, sembra che qualcuno le abbia consigliato di farsi curare qui a Tricase, all’ospedale Panìco, o che abbia letto da qualche parte delle recensioni positive sul nostro conto. Io sono qui da circa dieci anni e malgrado la struttura, per vari motivi, abbia sviluppato una serie di percorsi e linee di trattamento personalizzate sui pazienti che ci hanno portato ad essere quanto meno ad un livello tale da non avere nulla a che invidiare ad altre realtà anche più blasonate, non abbiamo mai avuto l’attitudine ad enfatizzare ciò che facciamo. È una questione di mission del nostro istituto, una pia fondazione di culto che funziona bene».

Com’è possibile che la paziente sia stata trascurata in un contesto dove la medicina raggiunge punte di eccellenza?
«Non ne conosco il perché. Comunque noi siamo abbastanza noti ai tecnici del settore, non solo in Italia, ma anche all’estero e tuttavia abbiamo sempre mantenuto un profilo molto basso. Questo per due ragioni. Prima di tutto perché non vorremmo, per così dire, essere gambizzati senza motivo».



















































Perché gambizzati?
«Gli interessi attorno alla medicina sono enormi, c’è anche questo da dire. In secondo luogo, guardo con molta tristezza tanti colleghi che sentono il bisogno di pubblicare degli articoletti in cui si parla di non so che cosa. Noi qui i trattamenti complessi li facciamo ogni giorno e anche più volte al giorno, senza farci notare tanto. Se dovessimo scrivere degli articoli per ogni trattamento di alta specializzazione che eseguiamo non finiremo mai».

Catena Fiorello la definisce un genio della chirurgia dell’addome, un guru della robotica applicata alla medicina.
«Posso dire che noi lavoriamo bene, ma senza dare troppo nell’occhio. Però siamo una realtà ben nota nel settore della medicina, anche sul panorama europeo. Per quanto riguarda il caso di specie, quando è venuta da noi Catena Fiorello confesso di non averla riconosciuta durante la prima valutazione, poi quando è stata ricoverata non solo ho capito chi era, ma in quei giorni ho scoperto una bella persona».

Lei stessa ha parlato pubblicamente dei suoi problemi di salute, una colecistite malcurata che le avrebbe causato una sepsi potenzialmente mortale.
«La situazione era complessa e so che una sera, mentre stava molto male e non vedeva miglioramenti, ha deciso di farsi trasportare fino a Tricase, sobbarcandosi un viaggio di oltre seicento chilometri. Poi noi abbiamo fatto il nostro, ma ripeto, siamo abituati a interventi ad elevata complessità, pertanto abbiamo affrontato anche il caso clinico di Catena Fiorello che era più complicato di quanto credo sia potuto apparire. Se per lei è stata un’esperienza positiva, anche per noi è stato bello scoprire un profilo umano speciale».

Ha affermato che se proprio doveva morire, avrebbe preferito che ciò avvenisse dopo essersi affidata ad un medico catanese, originario della sua stessa terra. È il sud che si riscatta?
«Io ho dato gli esami della mia vita per questo. Volevo dimostrare, insieme a pochi colleghi che insieme a me ci hanno creduto che si possono fare buone cose anche qui. Abbiamo tutti creduto in un progetto che si poteva fare al Sud, per cui, quando poi nel tempo ci siamo accorti di avere vinto il campionato con l’Atalanta è stata una grande soddisfazione. Lo dico mutuando una frase di mio grande amico oncologo con il quale facciamo un lavoro di squadra di un certo tipo».

È stata una bella scommessa anche non cedere al canto delle sirene di centri prestigiosi?
«Sì, quando si è presentata questa occasione noi abbiamo deciso di rimanere qui piuttosto che andare nel Lazio, in Lombardia o in altre regioni del Nord Italia. Alla fine siamo rimasti e sa perché?».

Spieghi pure.
«Perché è molto più interessante e stimolante riuscire a dare qualità ad un territorio disagiato, offrendo l’occasione alla gente di non fare grandi viaggi e spostamenti per potersi curare nel migliore dei modi. Sulla base di questa convinzione abbiamo costruito la nostra realtà. Tra l’altro abbiamo formato diversi chirurghi, oncologi, radiologi».

Il Panìco è un ospedale religioso di diritto privato che opera nella rete del Servizio sanitario nazionale. Perché, a quanto pare, certe eccellenze non sono così comuni nella sanità pubblica del Sud che, invece, avrebbe tanto bisogno di arginare la mobilità passiva e i suoi enormi costi?
«A noi non interessa poi tanto al Nord che il Meridione abbia delle realtà che funzionano bene, perché molti ospedali del Settentrione andrebbero sicuramente al fallimento. I costi delle cure fatte al Nord dai cittadini del Sud ricadono su questi ultimi. Questo è vero, ma il problema è complesso. Sicuramente non si può dire che se si ha la volontà di rimboccarsi le maniche e di lavorare seriamente per un obiettivo, anche al Sud non si possano ottenere ottimi risultati”. 

10 dicembre 2025 ( modifica il 10 dicembre 2025 | 11:26)