di
Viviana Mazza
Il diplomatico già consigliere di Bush padre: Trump è il primo leader Usa la cui principale preoccupazione sono gli affari
DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
Washington – «Non è isolazionista, ma ha una visione più ridotta degli interessi e del coinvolgimento Usa», «unisce l’unilateralismo a un forte sospetto delle istituzioni internazionali», dipinte come inerentemente antiamericane e una minaccia alla sovranità nazionale; «non tanto immorale quanto amorale» per via della preferenza a non interferire negli affari altrui. Così Richard Haass, ex consigliere di Bush padre e poi di Colin Powell, diplomatico e presidente emerito del think tank Council on Foreign relations , definisce la nuova Strategia Usa per la sicurezza nazionale in un recente articolo.
Raggiunto al telefono dal Corriere, l’ex ambasciatore spiega: «La grande sorpresa strategica è l’aumento dell’enfasi sull’emisfero occidentale (le Americhe), cosa che non vedevamo da oltre un secolo», con «meno enfasi sull’Europa e possibilmente sul Medio Oriente mentre c’è l’interrogativo dei loro piani in Asia. Costituisce davvero il più grande reindirizzamento della politica estera Usa dalla fine della Seconda guerra mondiale e dall’alba della Guerra fredda 80 anni fa».
Fino a che punto è nuovo il sospetto delle istituzioni sovranazionali, dipinte come minaccia alla sovranità nazionale?
«L’avevamo già visto in passato, ma qui è molto più forte. Non è certo nuovo il sospetto per l’Onu; era molto diffuso per l’Organizzazione mondiale della sanità dopo il Covid; quello per l’Organizzazione mondiale del commercio si ritrova in entrambi i partiti. Ciò che è diverso è la profondità del sospetto e l’ostilità verso l’Unione europea, isolata come oggetto di critica particolare».
I conservatori americani credono che l’Ue abbia abbandonato la libertà di espressione e di religione?
«Non li chiamerei conservatori, da conservatore io non trovo che la maggioranza delle persone che si identificano con questo presidente o con i Maga siano conservatori. Io penso che l’Ue possa essere criticata per molte cose, il rapporto di Mario Draghi è un buon punto di partenza. L’Ue ha regolamentato troppo l’Europa, ha soffocato l’innovazione e la crescita economica. Possiamo essere critici, ma bisogna ricordare lo storico contributo dell’Ue che risale alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio… la risposta non è abbatterla ma riformarla, e sarebbe davvero nell’interesse dell’Europa. Per me l’area principale di riforma è che servono una Banca centrale più forte e meno regolamentazioni. Questi attacchi culturali all’Ue mi ricordano quelli fatti da alcuni repubblicani ai democratici, agli Stati blu e alle università».
Lei scrive che questa Strategia Usa segna la vittoria della geoeconomia sulla geopolitica, la fine dell’era in cui l’America era «l’ancora delle alleanze e delle istituzioni internazionali, pronta a sacrificarsi per lo stato di diritto».
«Questo è il primo presidente la cui principale preoccupazione riguarda la sua visione dell’interesse economico dell’America, con cui giustifica i dazi, il focus sugli squilibri della bilancia commerciale, sull’acquisto di prodotti Usa, sulla reindustrializzazione. Alcune di queste cose sono sensate, dalla reindustrializzazione al rafforzamento della sicurezza delle catene di approvvigionamento, e possiamo dibattere su come sia meglio farlo. Ma preoccuparsi degli squilibri della bilancia commerciale in sé secondo me è “cattiva economia”».
E per quanto riguarda l’Ucraina?
«La Strategia Usa non è terribilmente incoraggiante perché è così indulgente con la Russia. Il trattamento della situazione dell’Ucraina è quasi neutrale. In poche parole: vogliamo la pace. Questa amministrazione sembra più interessata a ottenere la pace che al contenuto della pace, e preoccupata almeno ugualmente di riabilitare la Russia che di prendersi cura dell’Ucraina. Quindi sono preoccupato. Non ho una previsione da fare, ma ci sono motivi per preoccuparsi perché nessuno di noi sa quello che questo presidente deciderà di fare se i suoi sforzi diplomatici continuano ad essere frustrati come è probabile che accada».
Potrebbe costringere l’Ucraina a cedere tutto il Donbass?
«Potrebbero provarci, poi sta all’Ucraina e all’Europa decidere come rispondere. Ma non posso escluderlo. C’è la possibilità che questa amministrazione abbandoni la diplomazia, che dia la colpa all’Ucraina e la penalizzi sospendendo le armi o l’intelligence, e c’è anche la possibilità che dia la colpa alla Russia, aumenti le sanzioni e fornisca più armi all’Ucraina. Non lo so».
Cosa si aspetta dai repubblicani al Congresso?
«Non li prendo sul serio, il Congresso a guida repubblicana non ha mostrato di essere un ramo indipendente e alla pari del governo: ha dato pochi segni di essere pronto a sfidare questo presidente e questa amministrazione».
11 dicembre 2025
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