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Redazione Online

La vice direttrice del Corriere Fiorenza Sarzanini risponde sul caso Garlasco

L’ultimo tassello del complicato puzzle del delitto di Garlasco è stata la relazione curata dalla perita Denise Albani sui campioni genetici nella nuova inchiesta sulla morte di Chiara Poggi: un esito che ha sollevato ancora più domande tra i lettori. Per questo, Fiorenza Sarzanini, vice direttrice del Corriere della Sera che come cronista ha seguito casi giudiziari di grande rilievo, con Maria Serena Natale fa il punto in diretta sulla vicenda mai chiusa, a 18 anni dal delitto di Chiara Poggi

Il prossimo 18 dicembre ci sarà l’incidente probatorio. Sono rilevanti, dal punto di vista giudiziario, gli elementi emersi dalla perizia? Può cambiare qualcosa nella scrittura di questa storia?
«Sinceramente io credo di no. Abbiamo letto e analizzato la perizia e si rileva facilmente che la stessa esperta spiega che la raccolta e conservazione dei reperti è un risultato probatorio, non una prova, è un indizio. Un esempio concreto: sotto le unghie di Chiara Poggi c’è del Dna compatibile con quello di Andrea Sempio. Poi leggendo la perizia scopriamo che queste unghie sono state conservate senza neanche specificare quali fossero, se unghie della mano destra o della sinistra. Né sappiamo dire con certezza se questi reperti fossero sopra o sotto le unghie. E non c’è bisogno di un esperto genetista per capire che la cosa è molto diversa. Noi dobbiamo ricordare che Sempio è amico del fratello di Chiara, frequentava quella casa. E se il suo Dna è sopra le unghie di Chiara può essere accaduto per via di una contaminazione con degli oggetti. Diverso è se – invece – il Dna fosse sotto le unghie di Chiara, perché allora potrebbe esserci stata una colluttazione, magari lei ha provato a difendersi, ha avuto un contatto in quel momento. Dopodiché, un altro problema è che stiamo parlando di reperti che non ci sono più: la stessa esperta ha dovuto lavorare sulla rilettura delle risultanze dell’epoca. Quindi questo incidente probatorio vedremo come verrà preso, come la difesa di Sempio cercherà di confutarlo e come invece la Procura di Pavia cercherà di farlo entrare nel processo. Perché noi sappiamo che l’incidente probatorio serve a cristallizzare delle prove che poi entrano in un eventuale processo. Quindi qualora ci fosse richiesta di rinvio a giudizio, e poi rinvio a giudizio di Sempio, entrerebbe direttamente nel processo senza ulteriori perizie. Ma tutto questo si basa su una rilettura e una repertazione di 18 anni fa. E come ci dice l’inchiesta 18 anni fa, di errori ne son stati fatti e anche parecchi, quindi quale valore può avere adesso un esame scientifico seppur fatto con le tecniche più all’avanguardia se sono tecniche utilizzate su reperti che non esistono più, quindi solo basandosi su reperti prelevati all’epoca?».



















































Le nuove tecniche consentono di rilevare elementi che non erano stati riscontrati in precedenza. Ma ci sono errori che non saranno più reversibili. È molto improbabile, quindi, arrivare a un totale ribaltamento della situazione?
«Noi dobbiamo pensare che in carcere con sentenza definitiva per questo delitto c’è una persona. Che, come abbiamo detto più volte anche sul Corriere, è una sentenza che a nostro parere e a parere di moltissimi giuristi non è andata oltre il ragionevole dubbio, perché lui è stato assolto due volte poi la Cassazione ha ordinato un nuovo appello, lui è stato quindi condannato e la sentenza è stata definitiva. Ma che ci fossero dei dubbi sulla colpevolezza di Stasi emerge anche adesso. Allora, 18 anni dopo noi ci troviamo di fronte a un nuovo quadro probatorio e indiziario che riguarda un’altra persona. Non sappiamo tutto quello che la Procura di Pavia ha in mano. Io mi auguro che abbiano in mano una serie di indizi o prove non ancora svelate che possono essere determinanti per chiedere il processo per Andrea Sempio. Dobbiamo ricordare che per avere il rinvio a giudizio di una persona l’accusa deve provare di avere quantomeno elementi che possano far presumere che si vada verso la condanna. Non è che in qualsiasi caso si può chiedere rinvio a giudizio. Il giudice deve capire se quegli elementi che ci sono meritano di essere sottoposti a una corte d’assise con la convinzione che ci sia ragionevolmente una ipotesi di condanna. Se ci basiamo su quello che abbiamo adesso, abbiamo sicuramente tanti indizi. E non sono secondo me quelli più forti quelli che riguardano la parte genetica. I più forti mi sembrano quelli della parte investigativa: l’alibi, le telefonate che Sempio fa a Chiara Poggi prima del delitto, anche le nuove foto che sono emerse. Che da una parte confermano il fatto che lui aveva detto di esser stato lì, ma è chiaro che se lui c’entra in qualche modo probabilmente, come spesso accade anche nei film, l’assassino torna sul luogo del delitto, quindi quelle foto non sono né a carico né a sua discolpa: semplicemente fotografano una situazione. Però io non credo che a meno che non ci siano delle prove vere, più solide, con questo quadro probatorio si possa arrivare alla condanna di Sempio. Proprio perché c’è un precedente e quindi una persona che sarebbe in carcere per un errore giudiziario e proprio perché questa indagine ha svelato che quelle indagini furono fatte male, con sciatteria nella ricerca e nella acquisizione delle prove, con un sospetto molto pesante sugli investigatori dell’epoca che potessero essere compromessi o addirittura corrotti, che avessero degli altri interessi, o comunque con un quadro della situazione che non è affatto scontato».

Quindi il paradosso di questa fase è che il principio dell’andare oltre il ragionevole dubbio non è stato rispettato al 100 per cento… Il timore di ricadere nell’errore e nel mancato rispetto del superare il ragionevole dubbio potrebbe essere utilizzato più a protezione di Sempio?
«Faccio sempre l’esempio del delitto dell’Olgiata: di fronte a un delitto che si era chiuso senza colpevoli furono riesaminate le prove, fu utilizzata una nuova tecnica per l’esame del Dna e fu trovato l’assassino che poi ha confessato. Quindi la rilettura delle prove scientifiche è fondamentale ma dobbiamo rileggere le prove, non le perizie sulle prove: quelle non sono sufficienti per avere degli elementi schiaccianti nei confronti dell’indagato. Serve un quadro più completo. Anche questa cosa del Dna va chiarita: nella perizia si dice che c’è una compatibilità con la linea maschile di Sempio. Capite che è troppo poco? Io che ritengo una regola di civiltà giuridica che deve sempre valere è che se io dopo 18 anni vengo condannato per un delitto sulla base di prove scientifiche, la mia difesa e i miei periti devono poter accedere alla prova scientifica. Devono poter esaminare la prova per cui voi mi state condannando, anche a costo che ci sia un assassino in libertà. Questa è una cosa di civiltà giuridica. Lo abbiamo detto per Bossetti dove il quadro accusatorio rispetto al delitto di Yara era molto solido e forte. Ma che l’indagato possa poter esaminare le prove che lo portano al carcere a me pare una regola di civiltà giuridica rispetto alla quale non si può mai mai derogare».

Hai parlato di indizi, come le foto scattate il giorno del delitto in cui si vede Sempio vicino alla villetta di via Pascoli. Sei tornata sul tema dell’alibi, quindi il famigerato scontrino di Vigevano che lui ha esibito come prova per dire che non era a Garlasco, poi sappiamo che questa versione è stata smentita. Questo è l’alibi che manca. È un punto cruciale, perché?
«Rispetto a quello che noi sappiamo di questa nuova indagine e di tutto quello che Procura di Pavia ha raccolto, io ritengo che lo scontrino sia l’elemento più forte nelle mani dei pm. Ripeto: sono convinta, per aver seguito per tanti anni le inchieste giudiziarie, che la Procura abbia qualcosa di più pesante rispetto a quello che è stato svelato. Tra tutto quello che sappiamo finora – le prove scientifiche, l’alibi, la ricostruzione familiare, la ricostruzione del comportamento di tutti gli attori, la posizione di Stasi -, secondo me la cosa fondamentale che indebolisce molto la posizione di Sempio è lo scontrino. Dobbiamo anche rilevare che Garlasco è un piccolo centro dove tutti si conoscono e dobbiamo tenere in considerazione anche la paura, perché questa può esserci: mettiamo che io ho 18 anni, do un alibi che è il primo che mi passa per la testa, perché in quella casa ci sono stato, c’è qualcosa dei nostri rapporti tra ragazzi che è inconfessabile e oscuro, e do un alibi perché sono in preda al panico. Però è certo che se questo alibi non lo correggo, poi mi torna indietro 18 anni dopo. Sempio dice: “Io ero a Vigevano, in biblioteca”, e poi si scopre che quella biblioteca era chiusa ma soprattutto si scopre che c’è un testimone fondamentale che dice “quello scontrino non era di Andrea, l’ho dato io alla mamma di Sempio”.
Altro elemento a carico: quando la mamma di Sempio viene convocata per parlare del suo rapporto con questa persona e dello scontrino, ma si sente male e sviene, ha un contraccolpo. Noi dobbiamo sempre, tenendo in considerazione che son passati 18 anni e la vita delle persone cambia, cambia comunque l’approccio, noi dobbiamo sempre pensare che 18 anni dopo, se quel rapporto della mamma di Sempio è un rapporto suo personale, privato, di cui la famiglia non era a conoscenza, allora lei può svenire, perché magari ha pensato che le cadesse la costruzione di vita privata tranquilla che si era creata. E qui davvero entriamo nella privacy. Noi dobbiamo analizzare che c’è un alibi falso che Sempio dà e che è svelato e che in questo momento secondo me è la parte più importante, perché l’alibi falso si intreccia inevitabilmente con le intercettazioni dell’epoca rilette oggi da cui emerge che c’è stato un passaggio di soldi in nero dalla famiglia di Sempio e non si capisce bene a chi. L’ipotesi della Procura di Brescia è che questi soldi dalla famiglia Sempio vanno agli avvocati o a qualche appartenente alle forze dell’ordine. Poi arrivano a quello che all’epoca è il pm Venditti. Questa ricostruzione è stata totalmente smentita dai giudici del Tribunale del Riesame a cui gli avvocati di Venditti si sono rivolti chiedendo il dissequestro del telefono, il dissequestro dei pc e quindi tutto quello che gli era stato perquisito nell’ipotesi di corruzione in atti giudiziari: sostengono che questa indagine non sta in piedi, che non c’è nessuna prova che possa dimostrare che il pm ha preso soldi per archiviare la posizione di Sempio. Allora noi dobbiamo chiederci: quei soldi Sempio li ha dati agli avvocati che venivano pagati in nero? Li ha dati agli avvocati per ammorbidire la posizione di qualche carabiniere che per altri fatti si è scoperto essere abbastanza spregiudicati nella conduzione delle indagini? Per esempio, lì c’è un carabiniere condannato in via definitiva per sfruttamento della prostituzione e per aver favorito un locale dove si tenevano incontri a luci rossi. Quel panorama investigativo dell’epoca è macchiato da molti sospetti. 
Però adesso 18 anni dopo ci sono altri investigatori, altri pm, tutto va riletto con la cautela – perché è fondamentale – che si deve al fatto che non si possono stravolgere altre vite dopo quelle che sono già state stravolte. Io sempre vorrei ricordare la famiglia Poggi, sempre esposta quando c’è una novità nelle indagini anche a un coinvolgimento. Non dobbiamo dimenticare neanche Stasi, perché dobbiamo rispetto a tutte le parti processuali, c’è comunque un ragazzo che sta scontando una condanna definitiva e che si è sempre detto innocente e che continua a stare in carcere quando si indaga su un’altra persona. Quindi tutto questo non va mai dimenticato soprattutto tenendo conto che son passati 18 anni e che alla fine possiamo dire senza paura di essere smentiti che Chiara Poggi giustizia davvero non l’ha avuta».

Un altro indizio sono le telefonate di Sempio nei giorni prima del delitto, in casa Poggi. Telefonate sospette visto che lui sapeva che Marco era in vacanza coi genitori e non fosse in casa. Perché è rilevante?
«Perché smentisce una versione data in precedenza. All’epoca Sempio aveva 18 anni, probabilmente ha fatto dei pasticci nel raccontare i suoi comportamenti nei giorni precedenti e successivi, poi però di fronte alla giustizia bisogna analizzare quello che c’è: sei il miglior amico del fratello di Chiara, dici che tutte le impronte trovate a casa Poggi ci sono perché frequentavi la casa, eri una di famiglia, che Chiara non era una tua stretta amica ma se Chiara sotto le unghie ha il tuo Dna è perché c’è una contaminazione e perché tu usavi il pc di Chiara. Questo dà un quadro di grande familiarità. Ora il tuo amico parte per la montagna, tu lo sai, ma tu chiami a casa di Chiara Poggi. Chi stai cercando? Tu dici: “No cercavo Marco perché non sapevo fosse partito”. È chiaro che questa è una versione che non sta in piedi. Allora o tu sei così amico che il tuo Dna è sotto o sopra le unghie di Chiara perché eri un frequentatore abituale della casa o non sei così amico tanto che quello che si presume essere il tuo migliore amico non sai manco dove sta. È chiaro che essendo due versioni incompatibili indeboliscono tutto quello che Sempio racconta rispetto ai suoi comportamenti di quella mattina. 
Dopodiché, sempre perché son passati 18 anni – e lo ripeto che anche questa rilettura che stiamo facendo la facciamo anche perché noi ci confrontiamo sempre coi lettori e spettatori del sito per fare chiarezza – per chiarezza dobbiamo dire che dopo 18 anni chiunque di noi può correggere e aggiustare una versione, purché dia una versione credibile. Se invece io rimango inchiodato a quella versione tu mi devi dire perché lo hai fatto, di fronte a una ragazza che è morta. Anche perché, ricordiamolo sempre, il delitto di Chiara Poggi non è un omicidio premeditato, probabilmente è un delitto d’impeto, probabilmente l’assassino è entrato con uno scopo e poi la storia ha preso un altro verso. Quindi non c’è tutta questa pianificazione., allora però tu, se entri nella rosa dei sospettati, sta a te spiegarmi perché hai detto cose che poi si sono rilevate false».

Hai citato la forte familiarità a cui Sempio si è più volte richiamato. Negli ultimi mesi è stata rifatta anche una mappatura della casa, alcune impronte sono entrate e uscite dal dibattito, in particolare la 10 e la 33 attribuita a Sempio. Questa mappatura 3D di cui non sappiamo oggi l’esito, cosa cercava? Cosa potrebbe aver confermato o rimesso in discussione?
«Noi sappiamo che tutti i trattati di criminologia ci dicono che l’esame della scena del crimine è fondamentale per la ricostruzione del delitto. 18 anni fa non c’erano queste tecniche, non c’era nemmeno la tecnica di ricostruire la scena del delitto in 3D quindi sicuramente questa ricostruzione può aiutare e ricreare quell’ambiente. Ma questo non cambia la fondatezza di quello che dicevamo prima e la parte genetica. Se non hai gli elementi del reperto da analizzare tutto questo rimane una bellissima, troppo spettacolare, che attrae l’attenzione su questo caso. Ma se trovi l’impronta e poi non la metti nell’incidente probatorio perché sai che tutto quello che entra nell’incidente probatorio poi che sia a favore o contrario poi resta lì, è cristallizzato, resta agli atti. Quindi può diventare anche una prova di debolezza dell’accusa, non necessariamente di forza. Io trovo quindi che sia stato molto spettacolare, anche troppo, ma poco utile all’indagine. C’è una spettacolarizzazione dell’indagine che io trovo eccessiva, perché 18 anni dopo rischia di travolgere vite e perché dobbiamo dare sempre il massimo rispetto della famiglia di Chiara Poggi, che si trova al centro di clamore mediatico che è anche pericoloso. Lo sottolineo perché sui social e su vari canali i famigliari di Chiara Poggi vengono quasi messi sotto accusa perché «non vogliono la verità». Io invito tutti ad avere molta cautela di fronte ai famigliari delle vittime che rischiano di avere, qualora Sempio fosse condannato, una ulteriore condanna. Se tua figlia viene uccisa dal migliore amico di tuo figlio, tu puoi avere il sospetto che tuo figlio sapesse qualcosa, che sia successo qualcosa. Quindi questo loro atteggiamento di chiusura io lo interpreto come atteggiamento di timore. Rinnovo l’invito alla cautela nei confronti della famiglia di Chiara Poggi almeno fino a che quadro dell’accusa e quello processuale non saranno più chiari».

Come funziona l’incidente probatorio? Cosa ci dobbiamo aspettare? E cosa potrebbe succedere?
«
L’incidente probatorio è stato creato perché doveva cristallizzare prove che in un eventuale processo potevano svanire. L’esempio più classico è un testimone che è gravemente malato, se io penso che non possano sopravvivere fino al processo, io lo sento nell’incidente probatorio così quello che viene detto lì entra nel processo generale. È come se fosse una anticipazione del processo. Questo è il caso classico. Poi per esempio serve anche per le prove scientifiche che si possono deteriorare: faccio incidente probatorio perché se penso che c’è un deterioramento della prova. Fisso la prova, invito accusa e difesa a esaminare le prove coi loro consulenti e poi quel risultato entra nel processo. In questo caso la Procura ha ritenuto di dover fissare – proprio perché c’era stato molto clamore rispetto a conservazione dei reperti rimasti – e quindi ha ritenuto di fare una anticipazione del processo rispetto a prove scientifiche. C’è la relazione dell’accusa, ci sarà quella della difesa e poi il giudice deciderà quando avrà tutto il quadro a disposizione quali di queste risultanze investigative possono essere utilizzate in un eventuale processo senza il bisogno di ripetere una perizia. Non si possono fare altre perizie a meno che non ci siano ulteriori elementi nuovi su cui si può fare ulteriori accertamenti».

La tua esperienza in processi di questo tipo, gli elementi che trapelano sono tanti. Alcuni come dici tu magari non saranno dirimenti. C’è uno schema che può tornarti utile dalle stesse indagini degli inquirenti? E tenere davvero le carte coperte per una seconda fase? Come funziona?
«Esattamente così: dopo 18 anni è evidente che saranno attivati dei dispositivi che misurano la reazione dei protagonisti. Banalmente delle intercettazioni. Più in generale il processo mediatico, secondo la mia esperienza, è sempre quello che porta sempre a pessimi risultati, perché è inficiato da mille voci. Nel delitto dell’Olgiata alla fine la rilettura delle prove è stata fatta nel massimo silenzio quando si è scoperto che il maggiordomo filippino aveva il Dna compatibile con quello trovato sull’arma del delitto è stato fatto l’arresto. Io penso che tutta questa sovraesposizione mediatica dovrebbe portare a dei risultati clamorosi rispetto al quadro probatorio che ha la Procura di Pavia. Ho la sensazione che invece questo processo mediatico serva a tenere alta l’attenzione e forse a far sì che qualcuno si penta, si spaventi o che qualcuno si faccia avanti raccontando più cose di quelle che aveva raccontato all’epoca. Non credo, sinceramente, che noi assisteremo a prove clamorose: ripeto mi auguro di essere smentita semplicemente per la serietà della giustizia e perché 18 anni dopo mi immagino a quale sia il dolore e l’ansia che sta provocando. Ho parlato spesso con i familiari delle vittime di tutti i delitti più clamorosi di cui ci siamo occupati, ho nelle orecchie sempre quello che raccontano i familiari delle vittime di Erba… ogni volta che in tv o sui giornali ci sono nuove prove o si riapre la speranza o si riapre il terrore che tutto questo poi abbia solo un gran clamore mediatico ma che risulti vano ai fini della ricerca della verità e queste sono ferite che ogni volta si riaprono e difficilmente si richiudono».

Pedinamenti del 2016: al tempo gli Stasi assunsero investigatori privati per recuperare tracce di Dna. Sempio finì indagato ma poi si dissolse in un nonnulla. Pur non avendo avuto al tempo peso, quella fase di questa storia ha lasciato uno strascico? Ha innescato un meccanismo? Che peso possono avere elementi che restano ai margini?
«Secondo me un ruolo ce lo hanno avuto infatti poi questa nuova indagine si riapre su pressione degli avvocati di Stasi. È normale: se vengo arrestata e condannata in via definitiva per un delitto che dico di non aver commesso, è chiaro che metterò in campo tutto quello che posso per cercar di dimostrare la mia innocenza anche cercando di incolpare qualcun altro se so quello che è successo. Stasi era il fidanzato, conosce segreti che nessuno di noi conosce ma non può provarli. E sicuramente questa attività serviva ad aprire nuove piste come poi è successo. Io credo che questo sia fondamentale e non ho timore rispetto al fatto che si aprano nuove indagini se c’è una sentenza anche definitiva e dubbia. Uno la sentenza la rispetta però intanto va a cercare la verità – il fatto che siano stati trovati nuove impronte, nuove prove, nuovi indizi è fondamentale perché dimostra che quelle indagini erano state fatte male. Io mi auguro che 18 anni dopo non facciamo male una nuova indagine, ma che ci sia il rigore fondamentale per dire è Stasi o no, è Sempio o no, non forse non è Stasi forse non è Sempio. 18 anni dopo credo che questa sarebbe davvero una sconfitta per la giustizia e quindi una sconfitta per la famiglia di Chiara».

Cosa ti senti di dire prima di questo processo del 18 dicembre?
«Io vorrei ricordare che anche noi, come Corriere, siamo stati accusati a volte di essere stati troppo presi dalla storia. Ma noi abbiamo il diritto e il dovere di informare i nostri lettori. Io ritengo, e lo dico senza presunzione, che il Corriere – in particolare coi colleghi Cesare Giuzzi e Pierpaolo Lio che stanno seguendo questa storia dall’inizio – abbia informato i lettori in maniera chiara, trasparente, spesso spiegando tutti quelli che sono i dubbi, i sospetti, le zone oscure, le zone chiare di questa storia. La scorsa settimana abbiamo pubblicato un lunghissimo articolo sul sito proprio per spiegare con domande e risposte tutto quello che entra in questo incidente probatorio, tutto quello che resta fuori. Giuzzi e Lio la seguono passo dopo passo, hanno il diritto e il dovere di raccontarvi tutto quello che sta succedendo, però noi anche come spettatori non solo come giornalisti abbiamo anche il dovere di essere cauti e noi abbiamo scelto di esserlo anche se facciamo 3-4 pagine siamo cauti nel porvi gli elementi non come elementi di prova sicura ma come elementi nuovi da valutare proprio perché tutto questo lo dobbiamo a voi lettori e ai famigliari delle vittime e anche ai nuovi indagati perché non vorremmo mai essere complici di quello che può diventare un errore giudiziario per andare a correggere un precedente errore giudiziario».

11 dicembre 2025 ( modifica il 11 dicembre 2025 | 07:50)