Ci sono personaggi che non nascono come protagonisti predestinati, ma che diventano tali perché riescono a trasformare una serie di eventi tragici in un percorso identitario. Leon Scott Kennedy appartiene a questa categoria rara.
Non è soltanto uno dei volti più riconoscibili di Resident Evil, come vi ho raccontato in un mio precedente Original, ma incarna l’evoluzione stessa del bioterrorismo all’interno dell’universo narrativo di Capcom.
La sua storia, iniziata quasi per caso, è diventata il filo rosso che collega il crollo di Raccoon City alle minacce globali degli anni più recenti. È un percorso fatto di perdite, illusioni, legami spezzati e un crescente senso di responsabilità che finirà per schiacciarlo e al tempo stesso definirlo.
Ve lo racconto poco sotto, facendovi tornare alle radici dell’orrore (e aspettando la sua apparizione ormai confermata in Resident Evil Requiem).
Questo non è come immaginavo il mio primo giorno
La sua vicenda comincia in modo ironicamente banale: il 29 settembre 1998 è il suo primo giorno da agente della polizia di Raccoon City. Giovane, motivato, persino troppo zelante, Leon è il ritratto del novellino che crede ancora nella purezza del distintivo che porta sul petto. Ciò che non sa è che la città in cui aveva scelto di iniziare la sua carriera è ormai sull’orlo dell’inferno. Quando arriva, con un ritardo apparentemente insignificante ma che gli salva la vita, trova le strade sommerse da creature che fino al giorno prima erano esseri umani.
Il T-Virus ha già trasformato la città in un incubo e Leon, senza alcuna esperienza reale sul campo, è costretto a confrontarsi con un orrore che va ben oltre ciò che aveva immaginato durante l’addestramento.
Gli eventi di Resident Evil 2 non sono solo la sua prova del fuoco, sono l’atto di nascita del Leon che conosceremo negli anni successivi. Il suo incontro con Claire Redfield è la prima ancora di salvezza in mezzo a una tempesta che minaccia di travolgerlo. I due si separano quasi subito, ma quell’alleanza improvvisata gli permette di non soccombere alla paura. Quello che accade dopo, però, è ciò che davvero lo segna: l’arrivo di Ada Wong nella sua vita.
Ada non è soltanto una misteriosa sopravvissuta, è la prima crepa nel suo modo di vedere il mondo. Si presenta come un’agente alla ricerca del fidanzato scomparso, ma Leon intuisce da subito che c’è qualcosa di più, eppure le crede. O forse vuole crederle. In una città in cui la verità è ormai un lusso, lui decide che fidarsi di qualcuno è meglio che diventare completamente solo.
Il loro rapporto, fatto di mezze verità e sguardi che raccontano più delle parole, diventa il primo nodo emotivo della sua identità. Quando Ada lo salva, ferito e sull’orlo della morte, o quando sembra morire tra le sue braccia, Leon capisce che non è più solo un poliziotto alle prese con zombie e mutazioni genetiche: è un uomo che ha perso l’ingenuità e ha guadagnato un fardello che lo accompagnerà per sempre.
La distruzione di Raccoon City, che avviene poche ore dopo la sua fuga, non è per lui una semplice tragedia; è un promemoria permanente di ciò che può accadere quando la verità viene sepolta sotto strati di segreti industriali e militari.
Dopo il disastro, Leon non torna alla vita normale. Non può. Il governo degli Stati Uniti riconosce le sue capacità e la sua conoscenza diretta del caso Raccoon City, costringendolo di fatto a unirsi a un programma federale specializzato nella lotta al bioterrorismo. È un passaggio forzato, quasi una ricompensa ambigua: invece della pace, gli viene consegnato un ruolo che lo trascinerà in un mondo ancora più oscuro. È qui che si riforma il Leon che incontreremo anni dopo, un agente addestrato, capace di affrontare da solo interi scenari di crisi, ma sempre con una malinconia di fondo che tradisce il ragazzo che era un tempo.
Puoi correre, ma non puoi nasconderti
Quando la storia lo ritrova in Resident Evil 4, il cambiamento è evidente. Autunno del 2004: Leon è stato formato, temprato, persino indurito, ma non ha perso del tutto il senso di giustizia che lo aveva contraddistinto a Raccoon City. La sua missione è semplice solo sulla carta: recuperare Ashley Graham, la figlia del presidente, scomparsa in un villaggio isolato della Spagna. Quello che trova, però, è un nuovo incubo, diverso da tutto ciò che aveva affrontato prima.
Il culto di Los Illuminados non utilizza virus tradizionali ma parassiti, le Plagas, in grado di controllare la mente degli ospiti. Per Leon è un nuovo salto nel buio, l’ennesima prova di quanto il bioterrorismo possa mutare senza mai cambiare davvero il proprio obiettivo finale: dominare, distruggere, manipolare.
La sua esperienza in Spagna è un altro tassello della sua decostruzione. Il suo rapporto con Ashley, fatto di responsabilità e protezione, mostra un lato paterno che fino a quel momento non era emerso con tanta chiarezza. Il ritorno di Ada, invece, lo mette nuovamente in conflitto con sé stesso. Lei appare e scompare, lo aiuta e lo manipola, sempre in bilico tra un sentimento mai espresso e un dovere che lo supera. La dinamica tra i due, già complessa in Resident Evil 2, qui diventa quasi una danza tragica: Leon vuole fidarsi, ma non può; vuole capire, ma sa che non gli verrà mai detto tutto.
Leon non cerca la gloria, non vuole il riconoscimento.
Sia nella versione originale del 2005 che nel remake del 2023, è chiaro che il soggiorno europeo segna un ulteriore distacco dal ragazzo ingenuo degli inizi. Leon diventa un uomo che lotta sapendo che il mondo non si salva mai del tutto, ma solo a sprazzi, tra un compromesso e l’altro. Ed è proprio questa sua consapevolezza crescente a guidarlo negli anni successivi.
La trama di Resident Evil 6 mostra un Leon ormai inserito a pieno titolo nella struttura del governo americano. È uscito dall’ombra, ma solo per scoprirne una ancora più ampia. Il gioco si apre a cavallo tra il 2012 e il 2013, con la morte del presidente, suo amico e mentore, trasformato in un mostro dal C-Virus. Leon è costretto a sparargli per fermarlo. È uno dei momenti più traumatici della sua storia, e la narrazione lo fa percepire come tale: un uomo che ha sempre cercato di salvare tutti vede svanire la sua speranza più grande proprio davanti ai suoi occhi.
La sua collaborazione con Helena Harper in quella campagna mostra un Leon meno incline alla fiducia, più sospettoso, più ferito. Ma nonostante tutto, mantiene un’etica incrollabile: vuole scoprire la verità, anche se farlo significa affondare ancora di più nel fango della politica internazionale e delle corporazioni segrete. Durante gli eventi in Cina, e poi nella città fittizia di Tall Oaks, Leon dimostra una capacità quasi sovrumana di adattarsi alle situazioni più disperate. È un personaggio che sembra non concedersi mai un momento di tregua, nemmeno quando la storia glielo permetterebbe.
Le sue apparizioni nei film in computer grafica come Degeneration, Damnation e Vendetta aggiungono nuovi strati alla sua evoluzione emotiva. In Degeneration, Leon opera come agente governativo esperto, capace di ragionare a sangue freddo anche quando il suo passato sembra tornare a reclamare spazio. ù
In Damnation è coinvolto direttamente in una guerra civile in Europa orientale, dove vede ancora una volta come il bioterrorismo sia diventato un’arma geopolitica più efficiente di qualsiasi esercito. In Vendetta, forse il film più cupo per quanto riguarda la sua caratterizzazione, Leon appare stanco, quasi disilluso, come se la sua lotta eterna contro i virus e le mutazioni stesse iniziando a logorarlo fin nelle ossa.
È come Raccoon City di nuovo
L’ultima apparizione cronologica di Leon, ad oggi, è quella in Resident Evil: L’isola della morte, un film che lo ritrae come un uomo determinato ma ormai consapevole che ogni crisi è solo l’anticamera della successiva. Siamo nel 2015, e qui Leon si imbatte in una nuova arma biologica e si ricongiunge con personaggi storici come Chris Redfield. Il loro confronto, non esplicitamente ostile ma attraversato da tensioni non dette, mostra quanto Leon sia ormai un veterano del bioterrorismo, irrimediabilmente segnato e sempre più vicino all’idea che il suo ruolo non gli permetterà mai una vita normale.
Guardando la sua storia nel suo complesso, ciò che colpisce non è tanto la sua crescita in termini di abilità o ruoli ricoperti, ma la trasformazione emotiva e psicologica che subisce. Leon passa dall’essere un ragazzo che cercava solo di svolgere il proprio lavoro a un uomo che sacrifica ogni frammento di vita personale per impedire al mondo di precipitare nel caos.
La sua relazione problematica con Ada è l’unico legame costante, ma è anche quello che non può realizzarsi, imprigionato nella natura stessa dei ruoli che entrambi ricoprono.
Il ragazzo arrivato in ritardo a Raccoon City diventa l’agente che salva presidenti, sconfigge culti millenari, affronta virus di ogni natura e continua a combattere anche quando sarebbe più semplice lasciarsi tutto alle spalle. Ma Leon non è fatto per questo. Non cerca la gloria, non vuole il riconoscimento. È un personaggio che resiste, che va avanti, che continua a mettersi in gioco anche quando l’unica cosa che ottiene in cambio è un’altra cicatrice.
E forse è proprio questa la ragione per cui la sua storia continua a parlare ai fan. Leon non è l’eroe perfetto e non è nemmeno quello tragico per definizione. È qualcosa di più complesso: un uomo che prova, fallisce, si rialza e si porta dentro ogni perdita come un promemoria di ciò che ha giurato di difendere. E finché ci sarà un nuovo virus da contenere o un’altra ombra da smascherare, Leon S. Kennedy continuerà a essere lì, al confine sottile tra dovere e sopravvivenza, tra speranza e disillusione.
Un protagonista che non ha mai davvero scelto di esserlo, ma che non ha mai smesso di diventarlo.