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Federico Olivieri, in arte Olly, ha vissuto un anno “devastante” ma in senso positivo. Un anno che tanti ragazzi della sua età (24) vorrebbero vivere. Ci è riuscito perché ha realizzato il suo sogno. Se non ci fosse riuscito, racconta a Vanity Fair, «avrei trovato un lavoro e sarei stato triste tutta la vita».
I genitori
Ma non è stato così. Lui quelo sogno l’ha raggiunto grazie anche ai suoi genitori. «Mia madre mi ha mandato fin da piccolo a seguire corsi amatoriali di canto e recitazione – racconta a Vanity Fair – Mio padre mi ha portato un iPod Nano pieno di brani di ogni genere: quelli di Bach e di Caparezza, di Beethoven e dei Black Eyed Peas, di Schubert e di Checco Zalone. Poi, ho frequentato per un po’ il Conservatorio: ho suonato la viola, che ho rimosso, e il pianoforte, che sto un po’ riscoprendo. A casa ho avuto il privilegio di seguire la filosofia del “fai più esperienze che puoi e vedi che cosa ti piace”». E così è stato anche per il rugby.
Il rugby
«Ci giocava mio fratello, un anno e mezzo più grande di me – racconta ancora al mensile -, e io volevo seguirlo in tutto e per tutto. In più, ci si era messo pure mio nonno materno, che è stato una figura importantissima nella nostra famiglia. Nato a Napoli, con la guerra si era trasferito a Genova, ha militato nelle giovanili del Genoa calcio nonostante tifasse Samp, lavorato all’Italsider, è stato accompagnatore della prima squadra di rugby della città e mi ha trasmesso questa sua passione. Ha vissuto mille vite. È mancato nel 2013, se l’è portato via una malattia simile all’Alzheimer, e mi dispiace non potermi confrontare con lui ora che gli argomenti sarebbero più profondi…». E con suo fratello, come per Mauro e Mirco Bergamasco, «speravo di finire in Nazionale, ma non è accaduto». La musica? «È stata la prima strada che ho percorso senza di lui, che invece ha preso quella di famiglia, quella della Giurisprudenza».
Al liceo era distratto, «pensavo già alla mia musica, scrivevo i testi sui banchi di scuola…».Non vuole dire il titolo della sua prima canzone (è ancora su Youtube, da qualche parte) ma racconta la sua prima esibizione «davanti a una trentina di amici in un locale nei vicoli di Genova, che ha chiuso, ho suonato al Buridda, un centro sociale che ha fatto la fine di molti altri a causa delle derive del nostro Paese.
Ricordo i soffitti alti, l’odore di gas per la presenza delle bombole, le piste da skate, lo scambio di idee».
È arrivato a Milano per l’Università, ha firmato subito un contratto che reputa una piccola sconfitta ma Olly non ha mai mollato: «Non ho mai avuto né disciplina né costanza, in palestra e nella quotidianità: con la musica, invece, non ho mai mollato. Ed è il motivo per cui sono qui». Poi confessa che se non ce l’avesse fatta con la musica «avrei trovato un lavoro e sarei stato triste tutta la vita. Ora ho solo alcuni momenti di tristezza, gli unici che non condivido. Tendo a isolarmi quando sto male, mi vivo tanto da solo il buio, il vuoto».
Sanremo
Per fortuna ha vinto il Festival di Sanremo. «Il momento più difficile: la prima sera, dietro la scala, prima di esibirmi, ero agitatissimo. Lo era anche Marta Donà, che stava lì con me». Una vittoria chiacchierata, fin tropppo, per colpa, si fa per dire, proprio della sua manager.
«Si è detto di tutto: che un’oligarchia mi ha dato il podio, che mi hanno fatto vincere i poteri forti, che ero l’unico ad avere le cuffie sul palco per la proclamazione e allora sapevo… Non sapevo niente! Non sapevo se avessi dovuto esibirmi di nuovo tra i primi cinque e le cuffie le ho messe nel dubbio: mi è sembrato strano che fossi l’unico ad averci pensato. Un calciatore in panchina non può tenere i parastinchi? Cazzate, cattiverie ingiustificate. Ho sofferto, ma poi ci ho anche scherzato. Marta ha sempre avuto l’eleganza e la maturità di non commentare, e non è facile quando leggi così tante bugie. Ci siamo protetti a vicenda e non abbiamo mai pronunciato una parola di troppo se sapevamo che l’altro non voleva».
Nel prossimo Festival lui non ci sarà ma ci saranno tanti suoi amici (Enrico Nigiotti, Tommaso Paradiso,Sayf, Nayt ec Eddie Brock) per questo lo guarderà. E poi: «Il Festival mi ha fatto entrare nelle case di tutti, anche di coloro che non avevano voglia di ascoltarmi».
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