Questo articolo sulle tate a Milano è pubblicato sul numero 51 di Vanity Fair in edicola fino al 16 dicembre 2025.

«Nei miei 35 anni di carriera ho fatto da mamma a una trentina di bambini ma, di questi, nessuno era figlio mio».

Roberta (il cognome non lo vuole dire per non pregiudicarsi futuri ingaggi), 59 anni, emiliana, ha passato più della metà della vita a crescere i figli dell’alta borghesia milanese. Ha iniziato per caso: fresca di separazione, in vacanza a Capalbio fa amicizia con una giornalista, madre di due bambini piccoli. Comincia a prendersene cura e finisce per trasferirsi con loro a Milano, dove resta quattro anni. «È stata l’unica volta che mi sono trattenuta in una famiglia così a lungo. Subito dopo, mi sono specializzata nella cura dei neonati fino ai sei mesi». Sei mesi senza orari, perché quando dorme il bambino bisogna rassettare la cameretta, lavare i vestitini, stirarli, preparare le pappe. Sei mesi senza riposo, al massimo un weekend ogni due, senza sonno perché la gestione delle notti ricade su di lei, e con trasferimenti a richiesta in base alle esigenze della famiglia. Cena a St. Moritz? Via, si parte. Il tutto per 4 mila euro al mese. «Spesso in nero, purtroppo: tanti datori di lavoro preferiscono così». Anche se stiamo parlando di miliardari? Anche.

Senza contratto, le famiglie risparmiano sui contributi (poco meno di 4 mila euro all’anno), le tate sull’Irpef, che è a carico loro e che prevede aliquote scaglionate in base al reddito. Per uno stipendio di 4 mila euro netti al mese, la tassa annuale si attesta sui 15 mila euro. Ma il rischio per entrambi è altissimo, come spiega Elisa Sivieri, ex tata e fondatrice dell’agenzia Tata da Favola: «Se una signora si infortuna può fare una vertenza contro la famiglia. E se succede qualcosa al bambino sono guai. Il problema è che in Italia tanti, ancora, non riconoscono questa come una professione vera e propria».

Ma le cose stanno cambiando. Gli sgravi fiscali derivati dalla flat tax, introdotta nel 2017 e aggiornata nel 2024, sono risultati particolarmente attrattivi per imprenditori, ereditieri, manager, finanzieri che, trasferendosi in Italia, pagano un’imposta forfettaria di 200 mila euro l’anno su tutti i redditi generati all’estero. La tassa è applicabile per 15 anni e può essere estesa anche ai familiari, con un contributo di 25 mila euro ciascuno. Il risultato? Un importante ingresso di stranieri facoltosi (circa 1.500 solo dalla Gran Bretagna) e un altrettanto cospicuo rientro di italiani residenti all’estero che, tra tutte le città, scelgono Milano per un milione di motivi: le tante opportunità professionali, la vicinanza alle capitali europee, la ricchezza di eventi e network cosmopoliti, l’offerta culturale e, per chi ha figli, anche l’ampia scelta di scuole internazionali.

La struttura determina la sovrastruttura. E così il capoluogo lombardo ha visto aumentare, tra gli altri, il prezzo delle case (secondo i dati di Engels & Völkers, a Milano la domanda degli immobili di lusso con quotazioni oltre i 2 milioni di euro ha registrato una crescita costante dal 2022), il costo dello studio (che, secondo Moneyfarm, nel 2024 è aumentato di 10 mila euro rispetto al 2023, attestandosi su una media di 104 mila euro a individuo, dall’asilo all’università) e, naturalmente, il tariffario delle tate: «Oggi una nanny di alto livello può guadagnare anche 6 mila euro al mese», afferma Giulia Garroni Parisi, consulente senior dell’agenzia Nanny & Butler. Ma, insieme allo stipendio, è aumentata la richiesta di specializzazione. «Fino a qualche anno fa ci si accontentava di una figura tuttofare che desse una mano in casa e che funzionasse come punto di riferimento affettivo per i figli. L’apprendimento era completamente deputato alla scuola. Oggi non è più così: le famiglie chiedono professioniste altamente formate».