Con l’edizione 2026 del suo calendario, la trentaquattresima, Lavazza rilancia uno dei progetti visivi più longevi della comunicazione aziendale e lo colloca in un contesto espanso: con ancora una volta la direzione creativa di Armando Testa, una presentazione ad Art Basel Miami Beach – l’azienda è partner ufficiale – e un tema che dialoga con la campagna globale, Pleasure Makes Us Human. A prestare la sua lente ai dodici scatti c’è Alex Webb, membro di Magnum Photos dal 1979, che costruisce un percorso che attraversa laghi, litorali, bocciofile, barberie, mercati e ritualità urbane, concentrandosi su gesti e incontri e lasciando sullo sfondo le icone preconfezionate. L’uscita del calendario coincide con l’apertura della fiera e introduce frammenti della quotidianità italiana in uno dei principali luoghi di discussione dell’arte contemporanea. All’interno di un ambiente dominato da linguaggi che spesso privilegiano l’astrazione, il progetto riafferma il valore delle situazioni osservate, delle densità minime, delle relazioni che emergono quando l’immagine si ancora alla vita quotidiana. «Sono interessato a come le persone si muovono nello spazio e a come il colore costruisce queste relazioni», spiega Webb rivendicando un’attenzione concreta che precede ogni concetto.

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Il Calendario Lavazza 2026 arriva in un momento in cui l’immagine è ovunque e ha perso parte della sua stabilità. Affidare il progetto a Webb significa puntare su un autore che lavora sull’attrito. Lo si percepisce subito: alla domanda su ciò che vede dell’Italia che sfugge agli italiani, rifiuta l’immagine pronta. «Faccio fatica a rispondere», afferma. È una posizione di principio: ogni rappresentazione richiede un accesso laterale, un livello di lettura che esclude scorciatoie. «Amo lavorare in luoghi che non conosco a fondo. L’incertezza mi costringe a guardare davvero», aggiunge, indicando una postura che osserva anziché interpretare. La sua è una forma di cautela che evita di trasformare un paese in un repertorio visivo.

La sua attenzione si concentra sulla tensione che abita gesti ordinari quando vengono osservati in condizioni insolite. L’immagine, per Webb, nasce esattamente in questa soglia: una situazione quotidiana spostata quanto basta per rivelare qualcosa che di solito scorre sotto traccia. «Cerco il momento in cui le cose si sfiorano e cambiano direzione», afferma, restituendo un metodo fondato sulla deviazione più che sull’enfasi.

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Il suo approccio si nota anche quando la produzione è articolata. «Accade sempre qualcosa che non avevamo previsto, ed è lì che l’immagine si accende», spiega. Il riferimento alla pesca – «prepari tutto, poi aspetti» – chiarisce la struttura del suo processo: predisporre un campo e lasciare che l’imprevisto lo completi. L’incertezza diventa una risorsa. Questo principio guida il suo modo di leggere le scene: è un metodo che accetta il margine e gli riconosce una funzione precisa. «Non so mai davvero cosa troverò. Questa ambiguità mi orienta più di qualsiasi piano», dice Webb.

La luce italiana sostiene questa impostazione. «Al mattino presto e nel tardo pomeriggio c’è una luce dorata che avvolge tutto», osserva. La utilizza come strumento costruttivo: definisce la densità, delimita i piani, orienta il ritmo interno della scena. La luce diventa il primo livello di montaggio, il dispositivo che rende leggibile la complessità che intende trattenere.

Sul piano concettuale interviene Francesca Lavazza. Pleasure Makes Us Human si concentra sui gesti minimi. «Il piacere è un gesto quotidiano che rende significativo un momento», afferma. Il caffè, in questa prospettiva, agisce come vettore di relazione: «È un gesto di cura, un modo per prendersi tempo», aggiunge. Un rito come forma di attenzione più che di consumo. «Ci interessa raccontare ciò che unisce, ciò che permette alle persone di riconoscersi», afferma ancora, riportando il progetto su un piano relazionale. Il calendario prende forma come un catalogo di micro-situazioni che riportano la sensibilità al livello dell’esperienza condivisa.

La rappresentazione dell’Italia attraversa l’intero progetto e rompe con quella tradizionale. Quella che emerge dalle fotografie è infatti una società multietnica in atto: basta osservare i corpi e le lingue che condividono lo stesso spazio, senza bisogno di enfatizzarlo: «Quest’Italia esiste: spiagge, stazioni, bar mostrano ogni giorno una composizione sociale più stratificata di come viene percepita», afferma Lavazza. I bar italiani sono centrali come spazi di convivenza spontanea: «Luoghi in cui ognuno può essere se stesso», ricorda. L’eterogeneità emerge come dato strutturale dello spazio pubblico. Webb riconosce questa presenza e la integra come componente attiva della composizione.

Il fotografo si colloca dentro questa varietà senza imporre gerarchie. Il suo lavoro registra sistemi di coabitazione e li lascia emergere nella loro dinamica. «I suoi scatti sembrano piccoli film: ognuno fa qualcosa, ognuno ha un ruolo», sintetizza Lavazza. La scena mantiene una struttura policentrica. La complessità resta visibile. Webb segue linee di movimento più che singole figure, lasciando che la scena produca da sé la propria coesione.

La presentazione ad Art Basel Miami Beach intensifica la dimensione discorsiva del progetto. Alla domanda sul rapporto tra arte e reportage, Webb risponde: «Non c’è una distinzione netta tra le due cose». La sua pratica procede per sovrapposizioni e non richiede categorie rigide. Sul formato calendario interviene con un’osservazione di percezione: «In un’epoca dominata dal digitale, l’immagine stampata ha un tempo suo. Ti obbliga a tornarci, anche senza volerlo», afferma. La fisicità introduce un ritmo diverso e apre spazi in cui la carta può sostenere una durata che il digitale riduce.

Il Calendario Lavazza 2026 restituisce un’Italia fatta di gesti che spesso passano inosservati. Seguono ritmi diversi, entrano ed escono dall’inquadratura e continuano a funzionare anche quando lo sguardo si sposta. È un materiale che regge la prova del tempo quotidiano, quello dei giorni che scorrono e dei ritorni involontari: ogni volta che lo si incrocia, qualcosa si riallinea e la scena ricomincia a parlare.