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La trilogia di album con cui Marracash ha stravolto la musica italiana – Persona (2019), Noi, loro, gli altri (2021) e l’ultimo È finita la pace (2024) – è davvero completa: è uscito Qualcosa in cui credere. La mia trilogia (Rizzoli), un libro a cura di Claudio Cabona in cui lo stesso Marracash unisce i puntini dietro questi tre dischi, raccontando i dietro le quinte, i pensieri, i rilanci e le paure dal 2019 a oggi. È una lettura avvincente – non è un tomo, dentro c’è un resoconto fotografico e la grafica distingue bene gli interventi del rapper dalle ricostruzioni del giornalista – che chiude il discorso. Sia perché ricostruisce nel dettaglio quella che è un’epopea destinata a restare, per esempio descrivendo le crisi, comprese la fine della relazione con Elodie e la scommessa del tour negli stadi; e sia perché ripercorre la parabola umana del suo autore.

La rinascita di un artista “morto”

Nell’estate del 2019 – lo racconta qui – il clima su di lui era quello che si respira intono “a un artista morto”: come solista mancava dall’album Status (2015), mentre una relazione tossica gli aveva paralizzato la carriera, di cui era sostanzialmente insoddisfatto. Il pubblico non ne aveva ancora decifrato l’identità, al contrario dei vari Fabri Fibra, Guè e Caparezza, suoi coetanei di cui la gente aveva chiarissimo, al di là del successo, quale fosse l’identità artistica. Spalle al muro, si è lanciato senza paracadute, scrivendo appunto Persona, un concept al momento ancora in classifica, quasi arrivato al mezzo milione di copie (un’enormità oggi), ma che allora era un rischio ben più grande di quanto il successo, a posteriori, lasci intendere. A ogni brano corrisponde una parte del corpo, ma sono due le direttrici: l’introspezione pura, per cui Marracash si mette a nudo come sul lettino dell’analista, e racconta la crisi; e una critica non banale alla società capitalistica. Il tutto senza abbandonare le radici hip hop, ma mettendo quello stile – le metriche feroci, gli incastri, la strada – al servizio di un nuovo modello di rapper: non più stereotipato e vincente, ma capace di imparare dalle sconfitte e di ragionare sul suo ruolo nella società.

Ok, sarà anche questione di tempismo, mentre in tanti cominciavano a disertare – e a intendere la musica come sottofondo – ha messo il carico da novanta. Fatto sta che proprio questa decostruzione ha fatto sì che milioni di italiani si rivedessero in lui, trovandolo – per contenuti – quasi come un cantautore moderno, un intellettuale perfino. Uno dei modelli, in questo senso, può essere Kendrick Lamar, di cui Marracash ha seguito la parabola nel nostro paese, per esempio con la Targa Tenco – il tempio della canzone d’autore bene, in cui per la prima volta è piombato un rapper – per il miglior album per il successivo Noi, loro, gli altri (2022) o, dopo È finita la pace, con il primo tour di un rapper italiano negli stadi (2024). Ha aperto i confini al genere, in qualche modo l’ha nobilitato e reso davvero adulto, per tutti, come dimostra per esempio il duetto con Vasco Rossi nella sua La pioggia alla domenica (2022), un traguardo impensabile per tanti colleghi oggi. O la tentata laurea ad honoris, comunque un modo per istituzionalizzarlo (anche qui, una novità per l’hip hop). Ma non è un discorso che si esaurisce all’hip hop.

Il segreto di Marracash

La forza e il segreto di questa trilogia – se Persona era l’urgenza di guardarsi dentro e Noi, loro, gli altri, nato in pieno Covid, quella di raccontare il mondo, per poi chiudere con sé stessi nel mondo in È finita la pace – sono sia di metodo e sia di contenuto. Marracash è la cosa migliore – o comunque, la più importante – accaduta alla musica italiana e alla sua regressione dalla pandemia fino a oggi. Perché ha dimostrato che si può ancora raccontare il presente senza per questo suonare barricadieri o datati, come nel caso di un pezzo come Cosplayer. Perché recuperando tanta canzone d’autore ha fatto vedere che, sì, abbiamo delle radici, ma si può e si deve andare avanti, tenendone conto. E poi perché ha messo al centro la salute mentale e in generale il nostro ruolo nell’Occidente. Non è un caso che, al di là di hit come Bravi a cadere, Crazy love e ∞ LOVE, che pure l’hanno spinto tanto in radio, i brani più apprezzati sono stati Crudelia, sulla sua relazione tossica, e Dubbi, vero manifesto introspettivo di questo nuovo corso. Storie comuni, ma raccontate con una sensibilità diversa.

Ecco, il segreto per potersi rivedere al loro interno. Un segnale: questo successo, enorme, dimostra che la gente ha voglia di una musica del genere, che i dischi non sono finiti. Qualcosa in cui credere. La mia trilogia, dal canto suo, descrive bene quanto questi traguardi siano stati ponderati, sofferti, anche solo figli dell’assumersi dei rischi. Ma Marracash non deve restare un’eccezione.