Ci sono una dozzina di indagati, tra medici e infermieri, per far luce sulla morte di Veronica Pignata, la 32enne deceduta il 6 dicembre scorso all’ospedale di Cittiglio (Varese) dopo aver dato alla luce con parto cesareo il figlio che portava in grembo. «Non è possibile morire in ospedale, è come se ce l’avessero uccisa», dicono i famigliari, che si sono rivolti all’avvocato Daniele Pizzi e ora attendono di conoscere la verità.
APPROFONDIMENTI
Le ipotesi
In vista dell’autopsia in programma lunedì 15 dicembre all’Ospedale di Varese, il legale ha incaricato come propri consulenti tecnici il professor Arnaldo Migliorini, presidente della Federazione Italiana dei Medici Legali, e il dottor Carlo Bernabei, medico legale milanese. «In questa fase è necessario essere prudenti, ma posso dire che stiamo lavorando su varie ipotesi, tra cui quella di un’insidiosissima embolia polmonare da liquido amniotico, eventualità che se non diagnosticata e trattata precocemente porta ad un elevatissimo rischio morte», afferma l’avvocato Pizzi.
Come è morta
Il parto, avvenuto con taglio cesareo, non aveva inizialmente evidenziato alcuna criticità né per la madre né per il neonato. Riaccompagnata in reparto, però, Veronica avrebbe accusato un improvviso malore: nonostante l’intervento immediato dei medici, del personale sanitario e degli anestesisti, le sue condizioni sono precipitate rapidamente fino all’arresto cardiaco che ne ha causato la morte, al momento senza una spiegazione chiara.