di Alessandra Dal Monte

Alla conferenza stampa del talent culinario in onda su Sky da giovedì 11 dicembre, i giudici ragionano sullo stato dell’arte della ristorazione. «Ormai aprono solo ristoranti con dietro grandi gruppi, ma lì il talento non cresce», dice Giorgio Locatelli. «Serve un’educazione alimentare a scuola e che si torni a cucinare in famiglia», aggiunge Antonino Cannavacciuolo

Una tavola rotonda poche ore prima della proclamazione della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’umanità Unesco. In cui i giudici di MasterChef hanno espresso sì auspici e gioia per l’imminente riconoscimento, ma anche qualche dubbio sul futuro della ristorazione. 

Soprattutto Bruno Barbieri, che nel descrivere lo stato dell’arte del settore è stato alquanto critico: «Non vedo i 5-6 nomi che scriveranno la cucina italiana del futuro. Sarà che arrivo da una da una storia professionale importante, che è stata quella del cambiamento della cucina della nonna, della mamma e della zia nella cucina contemporanea, ma io oggi nomi come quelli di Igles Corelli, Gianfranco Vissani, Valentino Marcattilii, personaggi che hanno portato il settore a una grande evoluzione, non ne vedo. Chi fa, in questo momento, la rivoluzione che facemmo noi quarant’anni fa? Devono venire fuori questi nomi, ma ciò significa che bisogna impegnarsi in modo diverso. Io mi ricordo che per raggiungere gli obiettivi una volta sacrificavi tutto, la tua vita. Lavoravi senza prendere uno stipendio, viaggiavi con fatica, ti guadagnavi la pagnotta. Oggi è tutto più facile e a portata di mano, ma dov’è la prossima generazione di grandi chef? Chi c’è dopo Bottura? I giovani devono riuscire a trovare una strada giusta che consenta loro di scrivere nuove pagine di storia della cucina».




















































Il problema della gavetta e del talento nei grandi gruppi
Preoccupato, anche se per questioni diverse, lo è pure Giorgio Locatelli: «Non è un momento facile per i ristoranti: non troviamo personale da un lato, e dall’altro anche quando ce la mettiamo tutta per offrire condizioni buone ai giovani, comunque dobbiamo fare i conti con il fatto che i margini di guadagno per le nostre attività si sono ristretti tantissimo tra aumento dei costi delle materie prime, degli affitti, delle tasse… Servirebbe un intervento politico. Faccio un esempio: si potrebbe intervenire sul concetto di gavetta. Non abbiamo bisogno di torturare la gente per farla diventare brava come succedeva un tempo. Però ci sono quei 4-5-6 anni nei quali la produttività di una persona che prendi nel tuo business non è al massimo. Devi farle un training, devi formarla, e tutto ciò ha un costo enorme. Ecco, dovremmo stabilire che dopo l’alberghiero, per 5 anni, i cuochi facciano una sorta di formazione universitaria lavorando nei ristoranti, a condizioni molto agevolate per il datore di lavoro». 

Non solo. Locatelli è preoccupato per un certo tipo di standardizzazione dei ristoranti: «Ultimamente sono solo compagnie internazionali con dei grandi investimenti che arrivano ad aprire dei ristoranti di un certo livello, perché da soli non ce la si fa. Questo è un grosso problema, perché il talento non cresce in quelle compagnie lì, il talento cresce nell’artigianalità, nel cuoco che apre un posto suo e fa quello che vuole, prova e sbaglia. Ma oggi aprire un posto proprio è difficilissimo e sbagliare costa troppo caro».

Educazione alimentare assente
Antonino Cannavacciuolo si è invece concentrato sulla mancanza di un’educazione alimentare per i bambini: «Bisognerebbe parlare di cibo, spreco e filiere già alle scuole elementari. Far capire ai bambini la fatica che c’è dietro una foglia di lattuga. Non serve a nulla parlare di cucina italiana se a scuola non la si insegna e se nelle famiglie nessuno più si mette ai fornelli. Ci sono ragazzi che arrivano a 30 anni senza mai aver cucinato, cresciuti a wurstel e patate: il nostro Paese dovrebbe vivere di cucina, non possiamo consentire che avvenga questo».

11 dicembre 2025