Le attese erano quelle di una stagione influenzale molto intensa e severa.

E le aspettative sono state rispettate. In anticipo di 3-4 settimane rispetto agli anni passati, la variante K del virus A/H3N2, sta dominando la stagione influenzale di quest’anno. Che, come dimostrano i dati rilasciati dall’Istituto superiore di sanità nell’ultimo rapporto settimanale RespiVirNet, tra il 24 e il 30 novembre l’influenza ha colpito, insieme alle altre infezioni respiratorie, 585 mila italiani, per un totale di 3,3 milioni casi da inizio stagione. Una curva di infezioni che sta crescendo velocemente e che vede tra i più interessati i bambini tra 0 e 4 anni, con 33 casi ogni 1.000 abitanti.

Antonio D’Avino, pediatra di famiglia, presidente della Federazione italiana medici pediatri

LA FIRMA

Il virus, pur mutando, anche quest’anno mantiene una firma riconoscibile: febbre improvvisa e alta, sopra i 38°C, brividi, naso chiuso, gola infiammata, occhi arrossati, dolori muscolari, articolari, spossatezza, ma anche problemi intestinali, soprattutto nei più piccoli. Se non trattata adeguatamente, l’infezione da variante K può causare complicazioni, infezioni dell’orecchio e dei seni paranasali, bronchiti e polmoniti. Per quel che concerne i virus circolanti, continua a crescere il peso di quelli influenzali. La variante K non è di per sé particolarmente aggressiva ma ha la capacità di sfuggire all’immunità della popolazione costruita negli anni. La K ha accumulato un numero importante di mutazioni rispetto al ceppo nel vaccino e, essendo un sottogruppo di H3N2 (un virus che nei periodi scorsi ha circolato meno), la popolazione potrebbe avere minore immunità residua. Questo significa che si possono contare più casi in meno tempo.

COSA FARE

Anche quest’anno i primi a esserne colpiti sono i bambini. Cosa fare dunque per proteggere i più piccoli? «L’influenza interessa in modo particolare la fascia 0-4 anni. I bambini hanno infatti un sistema immunitario non ancora maturo, che li rende più facilmente vittime di virus, specialmente se sono scolarizzati già da molto piccoli e iniziano a frequentare il nido dove si contagiano con i compagni», spiega Antonio D’Avino, pediatra di famiglia, presidente della Federazione Italiana Medici Pediatri. Per l’influenza abbiamo però un potentissimo strumento che è quello della vaccinazione che viene proprio raccomandata dal Ministero della Salute per tutti i bimbi tra i 6 mesi e i 6 anni compiuti, e per quelli di età maggiore che hanno un soggetto ad alto rischio in famiglia. La campagna vaccinale è partita già agli inizi di ottobre e si protrarrà fino a dopo le festività, periodo per il quale è atteso il raggiungimento del picco di casi. «È proprio con le feste, infatti – sottolinea il pediatra -, che i bambini sono più a rischio. Ci si incontra con amici e familiari e la probabilità di prendere l’influenza è più alta».

GLI ANTICORPI

Si è ancora in tempo per recuperare questa stagione e per vaccinarsi. «Dopo pochi giorni dalla somministrazione si raggiungono già ottimi livelli di anticorpi – spiega D’Avino – La vaccinazione è l’unico strumento che davvero ci permette di contrastare l’influenza, ma non solo, permette anche di ridurre le complicanze che molto spesso si verificano nei bambini, come bronchiti, polmoniti e otiti». A mettere a rischio i piccoli è però anche l’uso improprio dei farmaci somministrati quando ormai l’influenza ha colpito. Recenti dati italiani parlano infatti di 160 mila pazienti pediatrici (0-17 anni) con disturbi associabili all’uso inappropriato di farmaci per la febbre e il dolore.

L’OSSERVAZIONE

«Troppo spesso avviene l’auto-prescrizione. Alcuni genitori, particolarmente ansiosi, non rispettano i consigli del pediatra e intervengono con quello che già hanno in casa, come ad esempio gli antibiotici che però non hanno alcuna efficacia contro le infezioni virali, ma anzi comportano effetti indesiderati sull’intestino e aumentano il rischio di sviluppare antibiotico-resistenza»,sottolinea D’Avino. I dati raccolti dalla Federazione italiana medici pediatri evidenziano infatti che più del 70% dei genitori percepisce come pericolosa la febbre alta e che nel 90% dei casi desidera trattarla farmacologicamente, ma solo il 50% si preoccupa degli eventuali effetti collaterali dei farmaci impiegati. «Quando il bambino si ammala la prima cosa da fare è osservare come sta. Non è per forza necessario contrastare la febbre – sottolinea il pediatra – Non bisogna affidarsi al fai-da-te. Quando si usa un farmaco bisogna stare attenti ai dosaggi corretti in base al peso e, soprattutto, nonostante oggi le linee guida prevedano l’utilizzo sia del paracetamolo sia dell’ibuprofene, con azione antinfiammatoria, i due non devono essere alternati perché altrimenti sale il rischio di complicanze». Fondamentale è dunque rivolgersi sempre al pediatra e, soprattutto, se il bambino ha solo la febbre, «è sufficiente tenerlo idratato, non coprirlo troppo e non allarmarsi, ricordando che il sistema immunitario è come una palestra e che il piccolo deve abituarsi a fronteggiare le infezioni», conclude D’Avino.

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