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Dakota Johnson, Chris Evans e Pedro Pascal insieme in una commedia romantica? Lo sfregamento di mani genera faville. “Material Love”, al cinema dal 4 settembre, ha però più potenziale per deludere che sorprendere. Perché non è quel tipo di commedia romantica. Per dirne una, non si ride mai. Al massimo si sorride, amaro. Perché è un film con tre star dell’Olimpo hollywoodiano, certo, ma è anche e soprattutto un film di Celine Song.

Ricordate Past Lives? Ecco, lo scrive e lo dirige la stessa regista, qui alla sua seconda pellicola che ha di nuovo a che vedere con l’esplorazione dei rapporti umani, con i bivi della vita e con l’amore ai tempi delle dating app. Sotto la sfiancante bellezza di superficie si insinua allora un’opera esistenzialista senza essere greve, disamina lucida e anche un po’ intristita nel cerchio abbagliante del glamour.

New York, l’eleganza, i soldi. E l’amore?

Eleganza di certo non ne manca. Non potrebbe essere altrimenti se metti il film in mano a Dakota Johnson, che con il suo portamento controllato e imperativo tiene in briglia l’upper class di una New York in grana di malinconia (la fotografia di Shabier Kirchner). Si chiama Lucy ed è una matchmaker, uno di quei lavori da ‘city’ che non paiono lavori veri. Si occupa di stilare profili dei facoltosi clienti che la ingaggiano per poi incrociarli e capire chi possa stare bene con chi. Non fatevi illusioni, qui l’amore non è chimica, ma sintesi tardo capitalista di una società modellata sul parametro come indice dell’esistenza contemporanea.

Cosa fa di una persona tale? Età, forma fisica, etnia, reddito, orientamento politico. Ah, ovviamente anche l’altezza, gancio ricorrente e cruciale nel corso di Material Love (in originale il titolo più cinico Materialists), elemento bizzarro e del tutto illogico come è illogica la società contabile che descrive e su cui fa più volte perno il reticolato di scambi e riflessioni tra i personaggi. Tutto qui, quest’è. “Il matrimonio è un affare”. Uscire e relazionarsi è una schermaglia tra avvocati, il punto uno di un contratto da stilare con linguaggio tecnico-economico.

Lucy c’è dentro fino al collo, cupido senza frecce e con tabelle di calcolo alla Wall Street. Come potrebbe credere lei all’amore? L’unica tentazione è quella di lasciarsi avvicinare a un matrimonio da quello che nel suo campo chiamano un “unicorno”. Un uomo a rappresentazione di una fantasia impossibile, eppure reale: bello, educato, sensuale, ricco sfondato. Insomma, il banco che trucca il gioco, con pace all’anima di tutti gli altri. Chi se non Pedro Pascal? Scelta di casting al puntino che fa il paio con lo statuto divistico dell’attore, qui contrapposto all’ex fiamma di Lucy, il John di Chris Evans. A quel matrimonio fa il cameriere, è spiantato e sgualcito nel nome e nei fatti. Con lui l’amore c’era, ma c’era pure l’essere al verde.

Riscrivere la commedia romantica

Basta osservare loro per capire come Song lavori nello spaccato degli stereotipi usuali di questo genere di film, prendendo una struttura tipica con una tipica linea da sciogliere. L’amore come investimento, un nucleo imbrigliato in caselle da spuntare che Material Love vuole liberare, mentre attorno commenta lo spaesamento millennial a confronto con i detriti del (loro) mondo: essere ricco o non essere nessuno.

Partendo da questo Song re-interpreta la lingua della commedia romantica e rovescia con coerenza rispetto a ciò che a lei interessa. L’idea del triangolo come interferenza da attraversare e non rigettare è nella sua cifra d’indagine – anche in quella del marito dell’autrice canadese, Justin Kuritzkes, sceneggiatore di Challengers di Luca Guadagnino.

E nella sua cifra stanno pure la raffinatezza e la classe con le quali è organizzata la messa in scena: dalle location al vestiario, dalle illuminazioni dei luoghi alla direzione degli attori. Così come la fluidità con cui Song attraversa gli stadi di cambiamento del film, di pari passo alle dissertazioni nevrotiche ma non nervose di personaggi che si scoprono in crisi davanti a noi. Emblematico in proposito, per stile e capacità di sintesi, il montaggio che commenta la nascita del rapporto matematico tra Lucy e Harry.

Un passo inedito e quasi apocalittico

La regista sceglie un passo che sospende il tempo a mezz’aria, isola i protagonisti in un’apparenza di quiete al centro della stanza. Un portamento quindi impossibile (ecco: qui sta la fantasia d’amore che si agita sottopelle) per i ritmi di una metropoli che non si ferma mai. Al sesso si arriva? Sì, ma se c’è non si vede. Non è più percepito come strumento di conquista sull’altro. La bellezza è un asset da esporre, non da consumare. Per Song è un’altra frontiera da riabitare.

Material Love usa questo scientifico svuotamento del calore per creare una sensazione di perdizione inedita nella romcom. Sotto i volti, i corpi e l’imposizione scenica di questo trittico da sogno sta l’andamento quasi apocalittico del film, un tono oscuro in costante lotta con la luce riflessa in lineamenti perfetti e in palazzi a vetrate. La posta in gioco dopotutto è il sentimento, il rischio di perdere l’umana irrazionalità. Non temete, non demorde: come da manuale, ma fuori da manuale, lì si inizia e lì si finisce.

Voto: 7