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Nelle discussioni sulla legge per la montagna, approvata dal parlamento a settembre, il governo si è accorto di un problema: in Italia si definisce montagna circa il 35 per cento del territorio, molto meno della superficie dei comuni classificati come “montani”. Questa incongruenza ha convinto il ministero degli Affari regionali a nominare una commissione di esperti chiamata a ripensare i criteri per definire un comune montano, a decidere insomma cosa è montagna e cosa no.

È molto più che una questione linguistica: i comuni che rientrano nei criteri possono avere fondi dedicati ai territori svantaggiati e varie agevolazioni che spesso sono fondamentali per il loro buon funzionamento e per evitare che si spopolino. L’obiettivo dichiarato del ministero è evitare che gli aiuti vadano a posti che non hanno davvero i requisiti per riceverli, e probabilmente anche ridurre un po’ i costi.

I criteri usati finora risalgono a una legge del 1952 che diceva così: un’amministrazione si può definire montana se almeno l’80 per cento della superficie del comune è al di sopra dei 600 metri sul livello del mare o se la differenza tra il punto più alto e il punto più basso è superiore ai 600 metri, se il reddito imponibile medio per chilometro quadrato è inferiore a 2.400 lire (in riferimento ai prezzi del 1937: circa 2.700 euro di oggi).

L’elenco dei comuni montani viene gestito dall’UNCEM, l’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani, e non dall’ISTAT (l’istituto nazionale di statistica, che solitamente gestisce queste classificazioni) che per i suoi studi fa riferimento solo all’altitudine. Per avere un’idea di quanti siano i comuni in questione, anche se non è un elenco ufficiale, si può guardare l’indagine del 2022 fatta dalla fondazione IFEL, legata all’associazione dei comuni italiani (ANCI): dice che i comuni montani sono 3.538, il 43,7% di tutti i comuni italiani. La maggior parte ha meno di 2.000 abitanti.

Per i sindaci la definizione di comune montano non è un vezzo. In quanto montani, e quindi svantaggiati rispetto agli altri, questi comuni possono avere finanziamenti, agevolazioni e deroghe a regole imposte a livello nazionale. La legge sulla montagna per esempio distribuirà 200 milioni di euro per contrastare lo spopolamento e migliorare i servizi, in particolare asili e scuole. Nei comuni montani inoltre si possono ottenere deroghe alle regole che fissano il numero minimo di alunni per mantenere aperta una scuola.

Il ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli dice che vanno aiutati i comuni che ne hanno veramente bisogno: un modo come un altro per dire che bisogna ridurre il numero dei comuni montani. Per farlo sono stati nominati sei esperti che nelle ultime settimane hanno discusso i nuovi criteri di classificazione. Il ministero si aspettava un’unica proposta, che tuttavia ancora non c’è.

Gli esperti – tre nominati dalle regioni, uno dalle province e due dall’ANCI – si sono divisi tra i sostenitori di criteri molto restrittivi e altri più permissivi. È stato valutato tra le altre cose di fare riferimento solo a un’altitudine superiore a 600 metri e alla pendenza media del territorio, indicatori che avrebbero escluso moltissimi comuni ora montani. Senza un accordo nella commissione, la decisione definitiva spetta al ministero, con tempi piuttosto ristretti visto che il 19 dicembre è previsto un voto nella conferenza Stato-Regioni.

Le indiscrezioni sui criteri circolate negli ultimi giorni hanno spaventato molti sindaci, che si sono appellati ai parlamentari per chiedere di non modificare i criteri. Tra gli altri è intervenuto anche il presidente della Toscana, Eugenio Giani, secondo cui nella sua regione i comuni montani rischiano di passare da 148 a 80. I più preoccupati sono i sindaci delle zone appenniniche e delle regioni del Sud, mentre quelli del Nord sono più attendisti.

Secondo Marco Bussone, presidente dell’UNCEM, il vero problema è che trovare criteri validi per l’Italia intera è troppo complicato, anzi quasi impossibile perché le Alpi hanno caratteristiche diverse dagli Appennini e dalle montagne delle regioni meridionali o delle isole. «Servirebbero criteri diversi per ogni zona d’Italia», dice Bussone. «Ma al di là dei criteri bisognerebbe pensare davvero ai bisogni dei territori più isolati e svantaggiati, indipendentemente da quanto siano in alto o in basso. Altrimenti il rischio è di creare solo contrapposizioni tra i comuni».