Nella notte tra il 10 e l’11 dicembre, droni ucraini hanno colpito la raffineria Slavneft-Yanov di Yaroslav in Russia, provocando un vasto incendio in uno dei principali impianti di lavorazione petrolifera del Paese. L’impianto, con capacità di circa 15 milioni di tonnellate l’anno, era stato già colpito lo scorso 31 ottobre.

Questa azione si inserisce in una serie di attacchi mirati da parte delle forze ucraine contro infrastrutture energetiche russe, nell’ambito di una campagna volta a ridurre la capacità di produzione e di esportazione di petrolio e derivati.

Perché l’Ucraina prende di mira gli impianti energetici russi

La strategia di colpire raffinerie, piattaforme petrolifere, terminali e altre strutture connesse al settore energetico non è casuale, ma risponde a obiettivi strategici ben precisi:

  • 1. Ridurre le entrate che finanziano la guerra. Il petrolio e i prodotti raffinati costituiscono da anni una fonte significativa di entrate per il bilancio russo. Impedire a Mosca di esportare e raffinire greggio significa colpire direttamente una delle leve economiche che finanziano gli sforzi bellici e la macchina militare.
  • 2. Compromettere la logistica militare. Meno carburante disponibile significa maggiori difficoltà per le operazioni di trasporto e movimentazione delle forze armate russe, rallentando basi logistiche e operazioni sul terreno.
  • 3. Aumentare i costi della difesa. La Russia è costretta a distogliere risorse per difendere un territorio molto vasto, spingendo la sua difesa aerea a coprire anche obiettivi non direttamente militari ma strategici per l’economia.
  • 4. Impatto psicologico ed economico interno. Attacchi su impianti energetici dentro il territorio russo aumentano la percezione di vulnerabilità e possono avere effetti sul mercato interno, prezzi dei carburanti e opinione pubblica.

Altri attacchi significativi

In 24 ore i due attacci alla raffineria di Yaroslav e alla piattaforma del Caspio

Negli ultimi mesi Ucraina ha colpito numerose altre infrastrutture energetiche russe, ampliando il raggio delle sue operazioni:

Raffineria di Saratov. Attaccata per almeno tre volte con droni durante l’autunno, provocando incendi e danni alle unità di raffinazione. Questa campagna ha influito su carenze di carburante in alcune aree russe.

Terminal e infrastrutture a Novorossiysk. Un attacco ha danneggiato strutture chiave nel porto di Novorossiysk, uno dei principali punti di esportazione di greggio via mare, portando alla sospensione delle consegne di petrolio.

Stazione di pompaggio Kropotkinskaya. Un drone strike ha colpito un importante punto del Caspian Pipeline Consortium, interrompendo temporaneamente le forniture attraverso l’oleodotto che collega i giacimenti kazaki al Mar Nero.

Raffineria di Nizhnekamsk. Un attacco con drone ha provocato un incendio in un’unità primaria di raffinazione, equivalente a una parte significativa della capacità di raffinazione dell’impianto.

Attacchi con missili Neptune. Oltre alle sole infrastrutture petrolifere, missili ucraini hanno colpito una centrale elettrica e sottostazioni energetiche che rifornivano aree con industrie e impianti correlati.

Questi episodi mostrano come la campagna ucraina non sia limitata ad un singolo tipo di obiettivo, ma cerchi di influenzare l’intera catena energetica: dalla produzione, alla raffinazione, all’esportazione.

Il quadro complessivo

La strategia di Kiev nei confronti delle infrastrutture energetiche russe riflette un’evoluzione del conflitto, dove l’economia e la logistica diventano esse stesse teatri della guerra. Attaccare impianti di petrolio, gas e servizi connessi non solo crea danni materiali, ma anche pressione politica, economica e psicologica su Mosca.

Con gli ultimi raid su piattaforme offshore e raffinerie profonde nel territorio, è evidente che l’Ucraina è determinata a estendere la sua capacità di proiezione di potere lontano dal fronte, puntando su obiettivi che tradizionalmente stavano fuori dalla portata dei suoi mezzi.


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