di
Marianna Peluso

Lo sfogo dello sportivo «Si sono dimenticati di me, fatico a crederci. Un minimo di riconoscimento doveva esserci»

«Mi aspettavo di essere uno dei volti delle Olimpiadi. Invece si sono dimenticati di me». A dirlo è Kristian Ghedina, il discesista italiano più vincente nella storia della Coppa del Mondo, con 13 vittorie e 33 podi, nel «Salotto di Zenato», la rassegna culturale ideata da Nadia Zenato nella cantina di famiglia. L’ex campione di sci, in libreria con «Ghedo. Non ho fretta ma vado veloce» scritta a quattro mani con Lorenzo Fabiano, è stato ospite dell’incontro per parlare di sport, eredità olimpica e, inevitabilmente, dell’esclusione da Milano Cortina 2026.

Ghedina, davvero nessuno l’ha cercata?
«Nessuno. E ogni volta che lo racconto, vedo la stessa faccia stupita. Fatico a crederci anch’io. Non sono stato coinvolto in nessun modo. Né come testimonial né per promuovere Cortina, che è casa mia. È una ferita professionale ma anche personale: non cerco poltrone, non mi interessa l’organigramma, però un minimo di riconoscimento me lo sarei aspettato. Ciò che pesa di più è doverlo spiegare continuamente: ho ricevuto tante richieste da imprenditori che volevano presentare progetti. Mi dicevano: ora che tu sei dentro, puoi darci una mano?. Io dovevo rispondere che non sapevo nemmeno con chi parlare».



















































Però sarà uno dei tedofori.
«Sì, ho compilato il form sulla pagina della Fondazione Milano-Cortina e mi hanno assegnato una tappa a Bressanone, dove vivo con la mia famiglia, così i miei figli potranno vedermi passare con la torcia. Sarà un bel ricordo per loro. Ma nessuno mi ha invitato, è partito da me».

Cosa resterà dell’eredità olimpica?
«Alcuni interventi infrastrutturali, fondamentali. Penso alle circonvallazioni tra Tai, Vodo e San Vito di Cadore, cambieranno la viabilità della valle. Speriamo che si prosegua anche per gli altri paesi, non è sostenibile vedere i camion nei centri urbani. Poi ci sono le strade, i parcheggi, la ristrutturazione degli alberghi. E anche sul fronte impianti si torna a investire, oggi servono comodità».

E la pista da bob?
«Se viene gestita bene, può funzionare. In Italia ce ne sono poche, ma all’estero, dove sono ben dirette, le piste vanno alla grande. Il tracciato di Cortina sarà il più avanzato tecnologicamente. E ha una storia: quella di Eugenio Monti. Il rischio è che diventi un monumento inutile, ma se trovassero un manager in grado di farla funzionare, potrebbe diventare un punto di riferimento internazionale».

Chi vede come protagonisti per l’Italia nei Giochi?
«Vinatzer, Paris e Goggia sono i nomi forti. Ma bisogna stare attenti agli outsider, arrivano senza troppe aspettative, con la testa libera. A volte proprio loro fanno la gara della vita. Alle Olimpiadi può succedere qualsiasi cosa».

C’è un’Olimpiade a cui ha partecipato che le è rimasta impressa?

«I Giochi del 1998, a Nagano. Ero pronto, anche nei tratti tecnici, per me i più complicati, ma è successa una cosa che non ho mai raccontato. Gli sci buoni, quelli da gara, erano rimasti nella ski room, dove c’erano delle stufette a cherosene. Il cherosene ha impregnato le solette. Risultato? Gli sci non scorrevano. L’abbiamo capito dopo, a danno fatto. Sarebbe potuta andare diversamente. Me lo porto dentro ancora oggi».

Però ha vinto tanto altro.
«Certo, ma lo sci è uno sport duro, non perdona, è millimetrico. Sinner l’ha detto bene: nel tennis puoi recuperare, nello sci no. Se sbagli, sei fuori. E anche quando vinci, c’è qualcosa che potevi fare meglio. Io non ho mai fatto una discesa perfetta. Nemmeno quando ho stravinto in Val Gardena».

Cosa manca oggi allo sci italiano?

«I personaggi. I fuoriclasse ci sono, soprattutto nel femminile. Ma serve gente che faccia sognare. Come Tomba. Anch’io, nel mio piccolo, facevo numeri che restavano: la spaccata a Kitzbühel, le battute, le uscite fuori copione. Dettagli, ma la gente se li ricorda. Lo sport è anche spettacolo».


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13 dicembre 2025 ( modifica il 13 dicembre 2025 | 08:07)