di
Massimiliano Jattoni Dall’Asén

Il Pil britannico arretra e la Bank of England valuta un taglio dei tassi. Tra investimenti deboli e produttività stagnante, la crisi inglese pesa su mercati, export e catene europee

Per anni il Regno Unito ha coltivato l’idea di poter correre da solo, fuori dall’Unione Europea, più flessibile, più dinamico, capace di trasformare la Brexit in un vantaggio competitivo. Oggi, quella promessa si scontra con una realtà molto più prosaica: l’economia britannica è ferma, e i segnali che arrivano da Londra raccontano una stagnazione più ostinata del previsto.

Pil a -0,1%

L’ultimo dato ufficiale lo conferma senza bisogno di interpretazioni. A ottobre il Prodotto interno lordo si è contratto dello 0,1%, sorprendendo analisti e mercati che si aspettavano almeno una crescita piatta. Ancora più significativo è il quadro trimestrale: tra agosto e ottobre l’economia britannica non è cresciuta affatto. Un rallentamento che non può più essere archiviato come temporaneo, come ha sottolineato Reuters riportando i dati dell’Office for National Statistics.



















































Il problema non è concentrato in un solo comparto. I servizi, che restano il pilastro dell’economia britannica, mostrano una dinamica debole; la manifattura fatica a recuperare; le costruzioni rallentano. Eventi specifici – come il cyberattacco che ha colpito Jaguar Land Rover – hanno avuto un impatto, ma non spiegano una fragilità che dura da mesi. Il quadro che emerge è quello di un’economia che cresce poco perché investe poco e fatica ad aumentare la propria produttività.

Il possibile taglio dei tassi 

In questo contesto torna centrale il tema della politica monetaria. Secondo il Guardian, i mercati scommettono ormai su un taglio dei tassi da parte della Bank of England, nel tentativo di evitare che la stagnazione si trasformi in una recessione vera e propria. È un segnale politico prima ancora che economico: l’idea di un Regno Unito capace di compensare con la sola flessibilità post-Brexit gli shock globali e le difficoltà interne appare sempre meno credibile.

Il nodo, però, non è solo ciclico. Un commento di Reuters Breakingviews parla apertamente di una crisi di crescita potenziale. La Brexit non viene indicata come causa unica, ma come uno degli elementi che hanno accentuato problemi già presenti: minore integrazione commerciale, incertezza regolatoria, investimenti frenati, un mercato del lavoro meno dinamico di quanto promesso. In altre parole, l’autonomia rivendicata negli anni scorsi non si è tradotta automaticamente in maggiore capacità di crescita.

I riflessi in Ue

È a questo punto che la vicenda britannica smette di essere una storia esclusivamente inglese. Il Regno Unito resta un partner commerciale non prioritario ma rilevante per l’Italia, soprattutto per i settori agroalimentare (cibo e bevande), della moda e della meccanica, e una domanda interna debole oltre Manica significa meno spazio per export, ordini più incerti e catene del valore sotto pressione. Anche sul piano finanziario, un possibile allentamento monetario a Londra si inserisce in un equilibrio europeo delicato, influenzando cambi, flussi di capitale e aspettative sui tassi.

Ma c’è un riflesso più profondo. La frenata britannica mostra quanto sia difficile, anche per un’economia avanzata, compensare con scelte politiche simboliche la mancanza di investimenti, produttività e crescita strutturale. È una lezione che riguarda da vicino anche l’Italia, dove la crescita resta fragile e il dibattito economico rischia spesso di concentrarsi più sulle scorciatoie che sulle fondamenta.

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13 dicembre 2025 ( modifica il 13 dicembre 2025 | 09:09)