di Micol Sarfatti

Jacques Charmelot, giornalista con oltre trent’anni di esperienza come corrispondente in Medioriente e Africa, ha scritto il pamphlet «La guerra è merda». Ne ha curato la prefazione Lilli Gruber, sua moglie

Un pamphlet per raccontare la guerra, scritto da chi l’ha conosciuta bene e ne rinnega ogni deriva romantica. Il titolo La guerra è merda (Solferino), non lascia dubbi sull’interpretazione. L’autore è Jacques Charmelot, giornalista francese, con una lunga esperienza di corrispondente da Africa e Medioriente. La prefazione è firmata da Lilli Gruber. Charmelot e Gruber non sono – solo – colleghi che si stimano, sono marito e moglie. A farli incontrare, nel 1991 a Baghdad, proprio il conflitto iracheno. Il matrimonio arriva nel 2000: cerimonia a Montagna, provincia di Bolzano, nell’Alto Adige di Lilli, poi una nuova vita insieme tra Parigi e Roma.

In un pomeriggio di quasi inverno ragionano insieme sui conflitti contemporanei e l’attualità internazionale, intrecciando aneddoti e ricordi professionali e personali.



















































«Ho capito di dovermi prendere la mia responsabilità di giornalista e raccontare cosa è davvero la guerra quando ho iniziato a sentire parlare di riarmo dell’Europa», spiega Charmelot, «il titolo non è una provocazione: la guerra puzza per davvero. Non bisogna militarizzare la società con il pretesto, falso, di allontanare i conflitti». 

«Mi permetto un’annotazione», interviene Gruber, «Jacques sa bene cosa sia la guerra perché per quasi 40 anni è stato corrispondente in zone di crisi per Agence France-Presse (AFP), la terza agenzia di stampa al mondo. È uno dei giornalisti, e ne conosco tanti, che più rifuggono dalla glorificazione dell’inviato. È un pensiero che condivido, l’ho maturato lavorando in tv, dove l’immagine è già potentissima: il cronista non deve enfatizzare».

La guerra è merda, nasce dalla riflessione sul riarmo europeo. Qual è il vostro punto di vista sul ruolo dell’Europa nello scenario internazionale?
Jacques Charmelot: «Il riarmo è una follia. Dopo la Guerra Fredda l’Europa ha saputo costruire una cultura del disarmo, ora butta via un pezzo della sua storia perché sente la pressione dell’America e cede alla propaganda del pericolo russo. Gli 800 miliardi di euro di ReArm Europe sono soldi sottratti alle scuole, alla sanità, alle infrastrutture, alle fasce più deboli della popolazione».
Lilli Gruber: «Sono fondi non ancora stanziati, potrebbero avere senso, eventualmente, se fossero per una difesa comune. Come si fa a spiegare ai cittadini che devono rinunciare ai soldi del welfare per il riarmo dei singoli Stati nazionali? È un’assurdità, oltre che un’attitudine politica totalmente antieuropea».
Jacques Charmelot: «La difesa comunitaria è un vecchio sogno mai realizzato perché gli Stati Uniti non hanno voluto che fossimo indipendenti dalle loro armi. Il dibattito attuale ci riporta indietro di decenni, quando la leva era un modo per sfuggire alla povertà. Così è stato per mio padre, che nella Prima Guerra Mondiale è partito volontario a sedici anni perché l’alternativa al fronte era la miniera di carbone, con un rischio altissimo di ammalarsi di cancro. Oggi la Francia ha introdotto un servizio militare volontario, di certo non interesserà i figli e nipoti dei ricchi. È un triste ritorno al passato, ai giovani non andrebbe offerta la possibilità di arruolarsi, ma un futuro vero, diverso».

La guerra vi ha fatti incontrare.
Lilli Gruber: «Ci siamo conosciuti nel 1991 a Baghdad, nella prima guerra del Golfo. Ai tempi però nessuno dei due era libero. Ci siamo aspettati e ritrovati. Credo che Jacques, da buon giornalista di agenzia, abituato a fare un lavoro molto importante, ma con poca visibilità non avesse una grande opinione dei colleghi televisivi, me inclusa. Forse si chiedeva: ma chi è questa piccolina che fa l’inviata per la tv italiana? Poi, invece, mi ha salvata».

Cioè?
Lilli Gruber: « Dovevo lasciare il Paese in 24 ore su richiesta del ministero dell’Informazione perché avevo girato delle immagini proibite. C’era la dittatura e i giornalisti erano controllati, la censura è comune a tutte le zone di guerra. Ero furibonda…».
Jacques Charmelot: «Mi sono avvicinato a questa bella ragazza per provare ad aiutarla, ho parlato con il responsabile iracheno per la stampa straniera, gli ho fatto capire che cacciare via una star della tv italiana non avrebbe giovato alla reputazione del Paese. Alla fine, abbiamo negoziato».
Lilli Gruber: «La sera per ringraziarlo l’ho invitato a cena».
Jacques Charmelot: «Nell’unico ristorante ancora aperto di tutta la città, eravamo solo noi due. Ma, al di là della nostra storia, le guerre fanno solo danno. Portano chi le vive al degrado fisico, psicologico e sociale».
Lilli Gruber: «Tu Jacques lo sai bene, quando eri corrispondente dell’Afp hai coperto la guerra civile in Libano, una guerra “porta a porta” con una linea del fronte che tagliava in due la capitale Beirut e tu la attraversavi per vivere, lavorare, aiutare i tuoi stringer, i tuoi fotografi. Da allora hai la pressione altissima. A me spesso hanno chiesto se avessi avuto paura nelle varie zone a rischio. Certo, solo gli stupidi e gli eroi non ne hanno. Avere paura ti aiuta a rimanere concentrato e a non fare sciocchezze. In queste situazioni si scoprono risorse che non si pensava di avere. Nel 2003 in Iraq facevo tantissime dirette e avevo imparato a ricaricarmi sdraiandomi sul letto anche solo per 15 minuti. L’adrenalina dà una capacità di adattamento straordinaria».

Nelle guerre di oggi c’è una protagonista in più: la tecnologia. Ha cambiato il modo di combattere?
Jacques Charmelot: «La tecnologia, purtroppo, è al servizio degli stessi obiettivi delle guerre del passato. Non aiuta a gestire i conflitti in modo diverso o “chirurgico”, come tentano di far credere gli americani. La guerra pulita non esiste. Israele mette la sua grande conoscenza tecnologica al servizio della distruzione di Gaza. Non è una prova di intelligenza, ma di violenza. Nell’era dei droni, Ucraina e Russia combattono con le trincee come nella Prima Guerra Mondiale. Il risultato sono sempre centinaia di migliaia di morti e feriti».
Lilli Gruber: «Il livello di sofisticazione tecnologica bellica è molto alto, ma non aiuta a colpire in modo mirato “i cattivi”. Le vittime sono sempre le stesse: i civili, le donne, i bambini, i vecchi, i più deboli. E poi la prima vittima di ogni guerra resta comunque la verità, perché siamo sommersi dalla propaganda e, purtroppo, assuefatti alle immagini. Lo pensavo già negli Anni 90 con il racconto televisivo, i social poi hanno esacerbato il meccanismo: la ripetitività di video e foto banalizza l’evento, i giovani si sono abituati a vedere un tasso di violenza permanente. In questo c’è una responsabilità anche della politica, che usa toni sempre più accesi in modo irresponsabile e aizza i cittadini l’uno contro l’altro su temi futili. Viviamo in una società aggressiva».
Jacques Charmelot: «Per questo i cittadini devono imporsi e dire no al riarmo. Oggi le destre nazionaliste fanno leva sulla paura, ma non dobbiamo rimanere inermi per tornare al passato. Abbiamo imparato la lezione delle guerre precedenti: opponiamoci alla militarizzazione della società. In questo il contributo di ognuno conta, è importante essere curiosi, studiare, ribellarsi. Non credo nel disarmo unilaterale dei pacifisti, ma in un modello di una diplomazia efficace come quello costruito durante e dopo la Guerra Fredda con accordi cruciali contro la proliferazione dei diversi tipi di armamenti. Non è vero che l’Europa non conta niente, è ancora decisiva, lo abbiamo visto nelle ultime trattative sul piano di pace per l’Ucraina.».

Un commento sui leader internazionali: cominciamo da Vladimir Putin.
Lilli Gruber: «Il cleptocrate in chief. L’America è ancora una democrazia, la Russia è una dittatura, per lui il lavoro è più semplice».
Jacques Charmelot: «Un nostalgico della grande Russia e della Guerra Fredda dove, come membro dei servizi segreti, aveva un ruolo chiave. Un grande manipolatore».

Volodymir Zelensky.
Jacques Charmelot: «Un dilettante della politica. In un momento drammatico per il suo Paese, non ha reali capacità di negoziazione».
Lilli Gruber: «Un ex uomo di spettacolo che si è trovato in una situazione ben più grande di lui. Non so come andrà a finire, sia per il suo destino personale che per quello del suo Paese».

Benjamin Netanyahu.
Jacques Charmelot: «Vive in una sorta di racconto messianico del Grande Regno di Israele. Ha dimenticato cosa sia la giustizia solo perché ha un’enorme forza militare».
Lilli Gruber: «È al potere da 16 anni, ma senza la protezione della sua carica politica rischia la galera per corruzione e frode. Quindi è disposto a tutto: alla guerra permanente e a rimanere ostaggio della destra israeliana estrema e razzista».

Donald Trump.
Lilli Gruber: «Un narcisista patologico con a disposizione l’arsenale, anche nucleare, più potente al mondo. Un uomo privo di scrupoli, che sta mettendo in scena il più grande conflitto di interessi della storia Usa. Non dobbiamo abituarci alle sue nefandezze, né sorridere per le sue follie».
Jacques Charmelot: «Il punto di arrivo di una logica di distruzione sistematica del diritto. È la legge della forza al posto della forza della legge. Ma se dovesse uscire indebolito dalle prossime elezioni di Medio Termine tra meno di un anno, potremmo ritrovarci in uno scenario globale molto diverso».

Charmelot-Gruber: «Quella cena soli a Baghdad, una guerra ci ha fatti incontrare. Il riarmo dell’Europa è follia»

13 dicembre 2025 ( modifica il 13 dicembre 2025 | 12:26)