Anzi la mano chi si sarebbe mai aspettato che il ritorno più dirompente di Luigi Ghirri potesse passare da un’immagine che si sviluppa in un minuto. E invece il Centro Pecci di Prato dedica a lui Polaroid ’79-’83, la prima mostra istituzionale italiana interamente costruita sull’istantaneità: un cortocircuito perfetto per il fotografo che ha trasformato la lentezza dello sguardo in una forma di pensiero.
Eppure, nelle Polaroid Ghirri sembra liberarsi: gioca, sposta oggetti come pedine di una geografia mentale, mette in crisi la realtà con una leggerezza quasi sovversiva. Sedie comuni diventano architetture metafisiche, paperelle di legno navigano su liquidi disegnati, pianoforti minuscoli si appoggiano su mappe come fossero coordinate emotive. È il Ghirri più imprevedibile: non meno rigoroso, solo più disponibile al rischio dell’incertezza.

Formigine, Modena, 1980 8×8 cmCourtesy Thomas Dane Gallery, Londra e Napoli
Tra il 1979 e il 1983 Polaroid gli fornisce pellicole, macchine, e soprattutto la 20×24, la madre di tutte le istantanee extralarge. Ghirri accetta la sfida portandosi dietro una valigetta di oggetti trovati in casa e al mercato: un kit minimo per dimostrare che il paesaggio italiano può nascere anche da un tavolo o da un’ombra ben piazzata.
L’esposizione, a cura di Chiara Agradi e Stefano Collicelli Cagol con l’allestimento progettato dall’architetto Ibrahim Kombarji, rafforza l’idea di un percorso in bilico tra ordine e vertigine: pannelli di cocco al centro, deviazioni laterali sulle pareti, immagini che interrogano il rapporto tra vero e verosimile. Le piccole Polaroid sono epifanie domestiche: una sigaretta spenta, un aeroplanino, un tappeto rosso che diventa scena teatrale.
Il gioco degli slittamenti è continuo. Ghirri mostra simultaneamente fronte e retro, usa specchi per allargare la visuale, mette statue e manichini accanto a persone reali per ribadire che siamo tutti, inevitabilmente, immagini costruite. In queste miniature fotografiche ci sono interi saggi di teoria dello sguardo, nascosti in pochi centimetri di carta.

Modena, 1979 7,3×9,5 cm Courtesy Eredi di / Heirs of Luigi Ghirri
Ma la mostra, allestita fino al 10 maggio, ha anche una vocazione pedagogica: parlare ai più giovani, cresciuti nell’istantaneità dello smartphone, e far capire che la velocità non è nemica della profondità. L’istantanea, nelle mani di Ghirri, diventa un laboratorio concettuale portatile, uno strumento per scomporre e ricostruire il mondo con la stessa naturalezza con cui si sfoglia un album di ricordi.
Il percorso si conclude tra mercatini, tramonti ricostruiti, paesaggi urbani che scivolano verso l’astrazione. È qui che emerge la lezione più attuale del maestro: ogni immagine è una possibilità, non una verità. Una proposta di mondo, non la sua replica.
Polaroid ’79-’83 è sì un esercizio di memoria. Ma anche un invito a ripensare ciò che vediamo ogni giorno senza più farci caso. Perché Ghirri, con la sua lucidità tranquilla e la sua ironia sotterranea, continua a ricordarci che il futuro della fotografia non dipende dalla tecnologia, ma dalla capacità di stupirci ancora. Anche – soprattutto – davanti alle cose più semplici.

Roma, 1979 8×8 cm Courtesy Thomas Dane Gallery, Londra e Napoli

Roma, 1979 8×8 cm Courtesy Thomas Dane Gallery, Londra e Napoli

Modena, 1979 7,3×9,5 cm Collezione privata / Private Collection, Novara

Roma, 1979 8×8 cm Collezione privata / Private Collection, Novara

Modena, 1980 8×8 cm Collezione privata / Private Collection, Novara

Modena, 1980 8×8 cm Collezione privata / Private Collection, Novara

Capri, 1981 8×8 cm Collezione privata / Private Collection, Novara