di
Fabrizio Caccia

La reazione dopo la sentenza del tribunale russo contro il magistrato catanese, condannato a 15 anni di carcere

La rappresaglia di Putin è arrivata puntuale ma lui in fondo se l’aspettava: «Oggi è in corso una guerra al diritto internazionale e la Corte paga tutta la sua rilevanza», così aveva detto Rosario Aitala, 58 anni, primo vicepresidente della Corte penale internazionale, in un’intervista a Magistratura.it, la rivista online dell’Anm, già cinque mesi fa, giusto pochi giorni prima dell’incontro in Alaska tra lo zar del Cremlino e il presidente Usa Donald Trump, quando i due leader cominciarono a parlare anche di questo, della impossibilità cioè per Vladimir Putin di recarsi all’estero (Sudafrica, Brasile) per non incorrere nel mandato di cattura internazionale della Cpi pendente su di lui dopo l’invasione dell’Ucraina.

In quei giorni i canali Telegram di Mosca impazzirono tutti, messaggi in cirillico anticipavano il disegno. Fu lì che cominciò a lievitare l’idea del colpo di spugna per entrambi, anche per Trump, il giorno in cui scadrà il suo mandato. Una vicenda intricatissima, che si inserisce nel quadro del piano Usa in 28 punti per l’Ucraina tra i quali figura l’amnistia totale per i crimini russi. Aitala già allora lanciò l’allarme: «Una grande potenza ha annunciato minacciosi mandati di cattura nei confronti dei giudici della Cpi, inseriti nelle liste dei latitanti come terroristi e mafiosi». Era la Russia.
Ed ecco che adesso la condanna, firmata di persona da Putin, è arrivata per lui e altri 8 giudici della Corte penale internazionale, ma quella di Aitala è la più pesante: 15 anni di carcere e suona come un messaggio preciso all’Italia, dopo che due giorni fa Maria Zakharova, la potentissima portavoce del ministero della Difesa russo, non a caso ha dichiarato che «le relazioni fra Italia e Russia stanno attraversando la crisi peggiore dalla fine della Seconda Guerra Mondiale».



















































E non solo. Mosca che vanta trattati di estradizione con 100 Paesi (non l’Italia però) ora potrebbe anche chiedere contro Aitala l’emissione di un mandato di cattura attraverso l’Interpol, di cui fa ancora parte. Il giudice catanese, condannato in contumacia, è ritenuto colpevole di essere stato il primo firmatario del mandato contro il leader del Cremlino per la deportazione in Russia dei bambini ucraini e la distruzione di infrastrutture civili. Mentre il procuratore capo della Cpi, Karim Ahmad Khan, è sospeso per un’inchiesta su presunte molestie sessuali. Il tribunale russo che ha emesso il provvedimento-lampo (rinvio a giudizio in cirillico a metà novembre, prima udienza il 4 dicembre, poi la sentenza) era presieduto dal giudice Andrea Suvorov, non uno qualunque, visto che in passato già spedì in Siberia i principali oppositori di Putin, in testa Alexey Navalny, morto in cella il 16 febbraio 2024 dopo la condanna a 19 anni.

Il tribunale di Mosca nel suo verdetto difende Putin a spada tratta: «La Cpi ha incolpato un innocente e il processo in Russia è stato regolare».
«Provo grande amarezza — disse Aitala a luglio commentando l’attacco ai 9 giudici Cpi — ma la Corte non può fermarsi, deve continuare a difendere i civili inermi e innocenti, soprattutto i bambini». Così nel registro degli indagati oltre a Putin figurano pure l’ex ministro della Difesa Sergio Shoigu e il capo di stato maggiore, il generale Valery Gerasimov. Il Consiglio di sicurezza russo continua a sostenere che l’azione della Cpi è «guerra ibrida contro Mosca», nega di aver preso di mira i civili e le infrastrutture ucraine distrutte erano un «obiettivo militare legittimo». Ma ci sarà un nuovo processo, perché «in questa atmosfera internazionale — le parole del giudice italiano — la Corte resta un presidio di civiltà».


Vai a tutte le notizie di Roma

Iscriviti alla newsletter di Corriere Roma

13 dicembre 2025 ( modifica il 13 dicembre 2025 | 21:56)