di
Simone Canettieri

Si chiude la festa di FdI con il discorso della presidente del Consiglio: poca politica estera, molta interna. Presenti la mamma e Andrea Giambruno

Inizia dopo l’Angelus, finisce prima della diretta del Tg1. Giorgia Meloni parla un’ora e un minuto dal palco di Atreju, a Castel Sant’Angelo, il suo presepe, stracolmo di gente. Dentro, fuori e tutto intorno. L’intervento della leader di Fratelli d’Italia e presidente del Consiglio si può sintetizzare parafrasando una battuta di Nanni Moretti: «Giorgia, di’ qualcosa contro la sinistra». Che «rosica e mangia kebab» da quando la cucina italiana è diventata patrimonio dell’Unesco, che per vincere le regionali ha giocato ogni carta, in Calabria e nelle Marche, che «Cetto Laqualunque in confronto è Bismark».

Meloni infilza allo spiedo la sinistra che «nonostante le makumbe ha reso questa edizione di Atreju la più partecipata di sempre». Perché qui, spiega, non si fanno ammucchiate, si invitano tutti, ma le ammucchiate appunto le fa la sinistra per le poltrone. È la sinistra di Elly Schlein («non è venuta qui per non confrontarsi con Conte, il campo largo lo abbiamo riunito noi senza di lei: ma come farà a federarlo?»). Ma anche quella, attacca Meloni, da sempre serva dei padroni: e cita i rapporti del Pci con Mosca, poi quelli del Pd con Bruxelles, Parigi e Berlino, mettendoci dentro anche l’America («ma solo quando governano i democratici»).



















































In un intervento che profuma già di campagna elettorale per le politiche (e di sicuro guarda al referendum con il caso Garlasco da ostentare come male della magistratura che non ne indovina una) Meloni costruisce un pantheon al contrario: c’è Elly Schlein, certo, che sta parlando in contemporanea dall’assemblea del Pd, non mancano Ilaria Salis, Francesca Albanese e Greta Thunberg, ma anche Maurizio Landini con i suoi scioperi e silenzi su Stellantis, la cui proprietà sta vendendo il gruppo editoriale Gedi («ma Landini faceva le interviste a Repubblica contro il governo e fischiettava sulla Fiat»). Meloni se la prende con lo spirito del ‘68 che ancora pervade un pezzo di paese, ma anche con chi è «comunista con il ceto medio e turbocapitalista con il potere». 

C’è poco spazio per la politica estera (se non per ricordare come la sinistra alimenti la rabbia contro il governo accusando di genocidio in Medio Oriente) e molta cucina interna. Nel gioco delle diverse fra noi (il centrodestra) e loro (la sinistra, ovvio). Meloni chiude spronando il suo partito a osare ancora di più. Scatta l’Inno di Mameli, poi «A mano a mano» di Rino Gaetano. 

Titoli di coda: Atreju finisce qui. Matteo Salvini si ferma per i selfie con i militanti meloniani, Arianna è nel backstage, la signora Anna Paratore sale su una cinquecento bianca, Andrea Giambruno non si trova per un commento, il ministro Francesco Lollobrigida scappa per un appuntamento a pranzo. 

L’Alberto di Natale continua a calamitare selfie e video ricordi. Come il cartonato di Meloni, ricercatissimo, «chi non salta comunista è».


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14 dicembre 2025 ( modifica il 14 dicembre 2025 | 15:10)