di Chiara Amati
Giles Coren replica alle polemiche: «Il mio non era un attacco alla cucina italiana, ma una satira su certi luoghi comuni inglesi e sullo snobismo gastronomico»
«L’articolo? Era un pezzo di satira. Per l’esattezza una satira sui luoghi comuni inglesi riguardo all’Italia e alla cucina italiana. E sulla pretenziosità di una certa fascia della società inglese. Non era affatto un attacco alla cucina italiana. Mi dispiace che questo non sia stato colto».
Il giornalista e critico gastronomico britannico Giles Coren, firma del Times, autore dell’articolo «Italian food’s a con: protect our fine English fare», ha così risposto alle nostre domande sulla cucina italiana patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Rammaricato per non essere stato compreso nella sua sferzata, ha poi aggiunto: «Forse la figura retorica dell’iperbole non è più molto praticata nella scrittura italiana. E dire che, un tempo, in Italia, la satira era un’arte raffinata. Fu proprio Orazio a codificarla. Ma dalle numerose email aggressive e dai messaggi sui social che ho ricevuto da italiani sembra che quest’arte, da quelle parti, si sia estinta o quasi».
E sul cibo non ha dubbi: «È ovvio che tutte le cucine nazionali abbiano pari valore e dignità. In ogni Paese si è convinti che la propria cucina sia la migliore. Ma quando certi inglesi benestanti proclamano la cucina italiana come la migliore in assoluto, la cosa mi appare intrinsecamente comica. Perché lo fanno non per amore del cibo, ma come segno di ricchezza, elitarismo e sofisticatezza. Il cibo, però, è cibo, e basta. E la cucina di una nazione non può mai essere “migliore” di quella di un’altra. Per questo motivo, il gesto dell’Unesco non può che apparire a qualsiasi persona sana di mente come qualcosa di insieme ridicolo e grottesco».
Nel suo articolo, Giles Coren scrive di essere stato in Italia. «E lo confermo – ci spiega ancora -. Sono stato in Italia. L’ho percorsa molte volte, da nord a sud. Ho mangiato piatti straordinari, ma anche piatti pessimi, esattamente come mi è capitato in tutti gli altri Paesi che ho visitato. Ma in tutto questo non c’è nulla di particolarmente comico o satirico, vero?».
In conclusione, al di là della polemica contingente, resta una questione più ampia: la distanza tra l’intenzione satirica e la sua ricezione pubblica. Le parole di Giles Coren spiegano come il bersaglio del suo articolo non fosse la cucina italiana in quanto tale, bensì l’uso simbolico — e talvolta ostentatamente snob — che una certa élite inglese farebbe dell’Italia e dei suoi miti gastronomici. La reazione indignata, tuttavia, rivela quanto il cibo, soprattutto per gli italiani, non sia mai «soltanto cibo», ma identità, orgoglio, senso di appartenenza. Forse è proprio in questa frizione — tra ironia e sensibilità nazionale, tra patrimonio culturale e pratica quotidiana — che si annida il vero nodo del dibattito: non tanto se l’Unesco abbia agito con criterio, quanto fino a che punto siamo ancora disposti ad accettare la satira, soprattutto quando tocca ciò che percepiamo come più intimamente nostro. E la cucina, per noi, lo è senza dubbio.
14 dicembre 2025 ( modifica il 14 dicembre 2025 | 17:32)
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