di
Marta Serafini

I raid russi colpiscono elettricità e depositi di farmaci. Ora il timore è che Putin non voglia più accettare alcun tipo di compromesso, e sia disposto a proseguire per la guerra per altri 5 anni: un’Ucraina priva dell’appoggio Usa non gli farebbe più alcun timore

DALLA NOSTRA INVIATA 
KIEV – Mentre gli occhi sono puntati su Berlino, con la speranza che dagli incontri diplomatici esca un piano in grado di soddisfare gli appetti di Putin senza mettere in ginocchio l’Ucraina, oscurità e gelo calano su Maidan. In una piazza e in un Paese sempre più buio, deserto e freddo — ieri in cinque regioni più di un milione di famiglie sono rimaste senza elettricità in seguito ai raid russi — negli ambienti diplomatici europei l’ansia è palpabile.

«Quest’estate i progressi diplomatici ci sembravano concreti e restano i passi in avanti rispetto ad un anno fa. Ma il timore è che Putin non accetti alcun tipo di compromesso e sia disposto a proseguire con la guerra per altri 5 anni», spiega un diplomatico europeo. 



















































Il nodo più difficile da sciogliere resta quello del Donbass, terra da sempre inquieta e contesa. Il consigliere diplomatico di Zelensky Mikhailo Podolyak ha ribadito al Corriere in un’intervista pubblicata venerdì come ogni concessione territoriale sia contraria al diritto internazionale e lo stesso presidente ucraino ha prospettato la necessità di un referendum per sancire qualunque tipo di cessione. 

Inoltre, i sondaggi più recenti dimostrano come gli ucraini siano per la maggioranza contrari a cedere terre a meno di non avere in cambio garanzie di sicurezza

In questo quadro, Zelensky non è nella stessa posizione di forza di sei mesi fa né tantomeno può più aggrapparsi all’immagine di Churchill ucraino dei primi anni di guerra. Gli scandali di corruzione che hanno costretto il suo vice Andry Yermak alle dimissioni lo hanno indebolito. E le voci che rimbalzano dagli Stati Uniti attraverso il Washington Post che parla di incontri riservati tra il mediatore ucraino Rustem Umerov e l’Fbi per trattare salvacondotti utili a mettere in salvo esponenti del governo ucraino a rischio di accuse e processi non fanno che metterlo ancora più all’angolo. «Il rischio è che il presidente ucraino si trovi col coltello alla gola e che ceda alle pressioni di Trump», spiega ancora la fonte. 

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Tuttavia, il leader di Kiev sa anche bene quanto sia rischioso proporre ad un popolo che è in guerra per quei territori da 11 anni una cessione senza che vi siano garanzie solide, ragion per cui lascia aperta la porta a un negoziato. Se la risposta che può far cambiare idea agli ucraini è allora un sistema di protezione simile a quello dell’Articolo 5 della Nato che scatterebbe in caso di aggressione russa questo compromesso difficilmente incontrerà il favore di Putin il cui obiettivo è da sempre isolare politicamente, militarmente e geograficamente Kiev dall’Europa. Basta provare a tirare un filo che la matassa ucraina si ingarbuglia sempre di più.

Il leader del Cremlino non cede a nessuna richiesta perché sa bene come sia complicato per l’esercito ucraino andare avanti con la guerra senza il sostegno militare statunitense. Tradotto, senza le armi Usa, Kiev fa poco paura a Mosca. 

Anche l’attacco contro il porto di Odessa della notte scorsa ne è la prova. Ed è una risposta ai raid che gli ucraini hanno continuato a condurre negli ultimi giorni contro le infrastrutture petrolifere, comprese quelle nel Mar Caspio. Per i russi questi attacchi sono un problema ma lo sono sul lungo periodo. Senza il supporto militare statunitense continuo e immediato gli ucraini non sono in grado invece di sostenere un altro anno di attacchi, di black out, di morte e di crisi economica. 

Un corto circuito che, nell’ipotesi più pessimistica, potrebbe portare ad uno scenario simile al 2014, quando il presidente Petro Poroshenko, su pressione delle potenze occidentali desiderose di evitare un’escalation, firmò i primi accordi di Minsk venendo in seguito accusato di alto tradimento dal suo stesso popolo. 

Uno scenario apocalittico, certo, che anche con Minsk II non pose certo fine alla guerra. Ma che semplicemente permise all’opinione pubblica mondiale di derubricarla a conflitto regionale. Fino al febbraio 2022, quando Putin invase l’Ucraina. E a Maidan ricomparve il filo spinato.

14 dicembre 2025 ( modifica il 14 dicembre 2025 | 08:55)