di
Massimiliano Jattoni Dall’Asén
Nella legge di Bilancio prende forma l’estensione della detassazione sugli aumenti contrattuali: doppia aliquota al 5% e 10%, platea più ampia e conti pubblici sotto pressione
Nel cantiere della legge di Bilancio — che proprio in queste ore ha avuto una battuta d’arresto, con la seduta prevista alle 23 del 14 dicembre slittata alla prossima settimana — uno dei dossier più sensibili resta quello degli stipendi. Non tanto per gli annunci, quanto per il tentativo di intervenire sul punto che da anni alimenta frustrazione tra lavoratori e sindacati: gli aumenti contrattuali che finiscono in buona parte assorbiti dalle tasse.
Nel testo base della manovra, il perimetro è stretto: imposta sostitutiva al 5% sugli aumenti contrattuali, riservata ai lavoratori del settore privato con redditi fino a 28 mila euro. Una scelta prudente, calibrata, costruita per tenere insieme l’obiettivo politico e il vincolo contabile. Poi, però, nel cantiere parlamentare la norma ha iniziato a muoversi.
La seconda soglia e il pressing della maggioranza
Un sub-emendamento di Fratelli d’Italia ridisegna la mappa dei beneficiari. La logica è quella delle due velocità: resta il 5% per i redditi più bassi, ma si apre una seconda corsia con imposta sostitutiva al 10% per chi guadagna fino a 35 mila euro. Non un regalo indistinto, ma un allargamento selettivo che intercetta una fascia di lavoratori finora rimasta fuori.
Nel retroscena parlamentare, la mossa risponde a una doppia esigenza. Da un lato, disinnescare il malcontento di quella «zona grigia» di redditi medi che rischia di vedere gli aumenti contrattuali mangiati dall’Irpef. Dall’altro, evitare un allargamento troppo costoso, che avrebbe imposto nuove e più pesanti coperture.
Contratti, tempi e riscritture
Nelle settimane scorse, la proposta era stata più volte rimaneggiata. Una versione precedente puntava a includere esplicitamente anche il 2024; l’ultima riscrittura, invece, lega la detassazione ai contratti sottoscritti entro il 2026. Una formula che, nei fatti, consentirebbe comunque di far rientrare i rinnovi già firmati quest’anno – come quello dei metalmeccanici – senza esporsi a rilievi tecnici sulla retroattività.
La copertura, invece, resta inchiodata ai numeri già messi a bilancio: 167,4 milioni nel 2026 e 26,9 milioni nel 2027. È su questo punto che il Mef ha chiesto di non arretrare di un millimetro, per non compromettere l’equilibrio complessivo della manovra.
Sindacati, consenso e messaggi politici
La detassazione degli aumenti contrattuali è uno dei pochi dossier su cui il dialogo con i sindacati ha prodotto un risultato concreto. La Uil, in particolare, ha rivendicato la misura come una risposta diretta per circa quattro milioni di lavoratori, sottolineando la disponibilità del governo al confronto.
Qui il retroscena è chiaro: in una fase in cui i rinnovi contrattuali procedono a rilento e l’inflazione ha eroso i salari reali, intervenire sugli aumenti già conquistati è politicamente più semplice che aprire nuovi capitoli di spesa.
Il vincolo europeo sullo sfondo
A rendere ogni modifica più delicata c’è il ritorno delle regole europee sul deficit. Dopo la fine del congelamento deciso in epoca Covid, l’Italia si è ritrovata sotto procedura per disavanzo eccessivo, con un deficit che aveva superato il 7%. Ora l’obiettivo dichiarato è rientrare sotto il 3%, e ogni intervento della manovra viene guardato attraverso questa lente.
Non è un caso che, per finanziare le correzioni, il governo abbia messo mano ad altri capitoli: tassazione delle transazioni finanziarie, contributo sui pacchi extra-Ue sotto i 150 euro, aggiustamenti sugli affitti brevi. Tutte misure che servono a «fare cassa» senza toccare direttamente lavoro e pensioni.
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14 dicembre 2025 ( modifica il 14 dicembre 2025 | 13:43)
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