di
Sara Gandolfi
Nostalgia di Pinochet e campagna in stile Trump. Correva contro la comunista Jara
Nelle strade del Cile, ieri, non c’era il classico nervosismo o l’aspettativa di tante giornate elettorali. Pochi dubbi nei sondaggi pre-ballottaggio e una convinzione diffusa: dopo quattro anni di governo di sinistra, guidato dall’ex leader studentesco Gabriel Boric, un presidente di destra tornerà al Palazzo della Moneda. José Antonio Kast, 59enne leader del Partito Repubblicano, è riuscito a raccogliere dietro il suo nome i voti degli altri due candidati di destra sconfitti al primo turno, la conservatrice Evelyn Matthei e il populista di estrema destra Johannes Kaiser. È lui il presidente eletto. Del resto l’unica incognita era il margine di vittoria su Jeannette Jara, la candidata comunista del fronte al governo. Nella notte italiana sono arrivate le congratulazioni del segretario di Stato Usa Rubio: «Non vediamo l’ora di collaborare con il suo governo».
È stata un’elezione segnata da due grandi temi: la criminalità in aumento, legata ai flussi migratori dal Venezuela, e l’economia stagnante. Kast ha capitalizzato il malcontento, con una retorica «modello Trump»: come il presidente americano — e l’argentino Milei — ha promesso di «far tornare grande» il suo Paese e di «chiudere le nostre frontiere». «Ripristineremo la legge e il rispetto della legge» è stata la sua prima dichiarazione dopo la vittoria. Dopo tre tentativi presidenziali falliti, assapora l’ingresso alla Moneda. Il blocco di estrema destra non avrà la maggioranza al Congresso. Forse anche per questo, ieri, ha promesso che «se vinco, sarò il presidente di tutti, perché i problemi del Cile non hanno colore politico».
Ultimo di dieci figli, avvocato di origine tedesca — i genitori fuggirono dalla Germania con la caduta del regime nazista — in passato, non ha nascosto la sua ammirazione per Augusto Pinochet e ha preannunciato la grazia per gli agenti e i militari che violarono i diritti umani in Cile durante la sua dittatura (1973-1990). Da studente, d’altronde, aveva fatto campagna per mantenere il generale al potere durante il referendum del 1988, che invece ne decretò l’uscita di scena. E alle elezioni del 2017, perse contro Boric, affermò che se Pinochet fosse stato vivo, avrebbe votato per lui. Nell’ultimo dibattito in tv, Jara lo ha messo alle strette per il suo sostegno a Miguel Krassnoff, uno dei torturatori più sanguinari della dittatura, definendolo ironicamente «il suo amico». Kast ha replicato che «tutti coloro che commettono crimini gravi rimarranno in carcere», ma non ha escluso di liberare qualcuno per «ragioni umanitarie». Il Cile, d’altronde, sembra voler dimenticare il suo passato. L’idea che Pinochet «non abbia fatto solo cose cattive» è diffusa negli ambienti conservatori e anche tra le classi più povere. L’ondata di criminalità e violenza legata alla forte immigrazione degli ultimi anni ha aumentato il senso di insicurezza e il desiderio di una risposta forte. Il Cile resta uno dei Paesi più sicuri del Sud America, ma omicidi e rapimenti sono raddoppiati in un decennio.
Kast ha promesso di schierare l’esercito nei quartieri ad alto tasso di criminalità, di costruire muri al confine per impedire l’immigrazione incontrollata e di formare una forza di polizia speciale, su modello dell’Immigration and Customs Enforcement degli Usa, per rintracciare ed espellere i migranti illegali. I giovani, poi, non hanno vissuto l’orrore della dittatura. «Ne serve un altro come lui», è uno dei contenuti più cliccati sull’account TikTok «Don_Pinochet1973», che vanta oltre 10.000 follower. Molti di loro non erano neppure nati quando il generale fece bombardare il palazzo presidenziale l’11 settembre 1973, giorno della morte di Salvador Allende e inizio della fine per migliaia di oppositori che vennero poi arrestati, assassinati o fatti sparire.
15 dicembre 2025 ( modifica il 15 dicembre 2025 | 03:00)
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