di
Gian Guido Vecchi

Il Papa celebra la Messa nella basilica di San Pietro e rinnova l’appello (inascoltato) del predecessore Francesco

CITTÀ DEL VATICANO «Il Signore al di là di tutto, continua a ripeterci che una sola è la cosa importante: che nessuno vada perduto e che tutti siano salvati». A San Pietro ci sono cinquemila persone, Leone XIV celebra nella basilica la messa per il Giubileo dei detenuti e ripete l’appello, finora inascoltato, del predecessore: «Papa Francesco auspicava che si potessero concedere, per l’Anno santo, anche forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società e a offrire a tutti reali opportunità di reinserimento. Confido che in molti Paesi si dia seguito al suo desiderio».

Nella Bolla di indizione dell’Anno santo, Francesco richiamava il Levitico e le radici bibliche del Giubileo, «dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti», e come tradizione chiedeva ai governi del mondo «forme di amnistia o di condono della pena», percorsi di «reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi» e «condizioni dignitose per chi è recluso, rispetto dei diritti umani e soprattutto l’abolizione della pena di morte, provvedimento contrario alla fede cristiana e che annienta ogni speranza di perdono e di rinnovamento». 



















































La Porta santa a Rebibbia

L’Anno santo dedicato alla Speranza, del resto, è iniziato con un’immagine che non si era mai vista nella storia dei giubilei. L’apertura della Porta santa è un gesto antico, la prima venne aperta da Martino V a San Giovanni in Laterano nel 1423 e la notte di Natale del 1499 fu Alessandro VI a farlo per primo nella basilica vaticana. 

Ma non era mai accaduto che un Papa aprisse una Porta santa in prigione, tra i detenuti: dopo aver aperto la porta di San Pietro, la vigilia di Natale dell’anno scorso, nel giorno di Santo Stefano Francesco aveva ripetuto lo stesso gesto nel carcere romano di Rebibbia, «tutti i giorni prego per voi, e non è un modo di dire: penso a voi e prego per voi».

Per questo il giubileo dei carcerati, giusto verso la fine, è uno dei momenti più significativi dell’Anno Santo. Ha a che fare con il capitolo 25 del Vangelo di Matteo, il passo nel quale Gesù parla del Giudizio universale – la stessa scena che Michelangelo ha affrescato nella Sistina – e dell’atteggiamento che in quel giorno distinguerà i giusti dai dannati: «Ero in carcere e siete venuti a trovarmi», dice tra l’altro. 

Leone XIV ne parla con realismo: «Certo, il carcere è un ambiente difficile e anche i migliori propositi vi possono incontrare tanti ostacoli. Proprio per questo, però, non bisogna stancarsi, scoraggiarsi o tirarsi indietro, ma andare avanti con tenacia, coraggio e spirito di collaborazione. Sono molti, infatti, a non comprendere ancora che da ogni caduta ci si deve poter rialzare, che nessun essere umano coincide con ciò che ha fatto e che la giustizia è sempre un processo di riparazione e di riconciliazione». 

Per questo, quando «si custodiscono, pur in condizioni difficili, la bellezza dei sentimenti, la sensibilità, l’attenzione ai bisogni degli altri, il rispetto, la capacità di misericordia e di perdono», allora «dal terreno duro della sofferenza e del peccato sbocciano fiori meravigliosi e anche tra le mura delle prigioni maturano gesti, progetti e incontri unici nella loro umanità».

Sant’Agostino e l’adultera nel Vangelo

Anche all’Angelus, il Pontefice richiamerà l’immagine di Giovanni Battista in carcere: «Dalla prigione dello sconforto e della sofferenza si libera la parola di Gesù». Nella basilica, Papa Prevost si è rivolto anche agli operatori: «Si tratta di un lavoro sui propri sentimenti e pensieri necessario alle persone private della libertà, ma prima ancora a chi ha il grande onere di rappresentare presso di loro e per loro la giustizia. Il Giubileo è una chiamata alla conversione e proprio così è motivo di speranza e di gioia». 

Il pontefice agostiniano richiama il commento del genio di Tagaste all’episodio evangelico della donna adultera: «Sant’Agostino, in un suo famoso commento all’episodio evangelico, conclude dicendo: “Partiti gli accusatori, sono state lasciate la misera e la misericordia”. E a quella disse il Signore: “Va’ e non peccare più”».


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14 dicembre 2025 ( modifica il 14 dicembre 2025 | 13:57)