di
Francesco Bertolino

La holding degli Agnelli-Elkann ha avuto più occasioni di togliere il club dalla Borsa, ma non le ha colte. E ora si trova a dover respingere l’attacco di un socio scomodo, ricco e a caccia di visibilità

Ma non era meglio giocare a porte chiuse anziché dinanzi al pubblico della Borsa? Forse se lo staranno domandando in queste ore nel quartier generale di Exor dopo il tentativo di scalata alla Juventus da parte del colosso del criptovalute Tether. Negli ultimi anni la cassaforte degli Agnelli-Elkann ha avuto più volte l’opportunità di togliere da Piazza Affari il club e coglierla non le sarebbe costato molto. Quando, per esempio, a fine 2022 si era diffusa la voce – poi smentita – di un delisting da parte di Exor, gli analisti di Equita avevano calcolato che la holding avrebbe dovuto sborsare circa 200 milioni per acquistare il 36% del capitale della Juventus detenuto dagli altri azionisti.

Aumenti di capitale per un miliardo

Una cifra ragguardevole ma non proibitiva per Exor che dal 2019 a oggi ha versato quasi 640 milioni nelle casse della Juventus per coprire la sua quota dei quattro aumenti di capitale chiusi dal club nel giro di sei anni per un totale vicino al miliardo. L’investimento sul delisting avrebbe risparmiato alla holding diversi grattacapi. L’uscita dalla Borsa della Juventus avrebbe fatto venir meno tutti gli obblighi di trasparenza e comunicazione legati alla quotazione che tanti problemi hanno creato al club e alla sua dirigenza (basti ricordare le indagini di Procura e Consob sulle plusvalenze e sulla manovra stipendi). Soprattutto, alla luce degli ultimi eventi, l’addio a Piazza Affari avrebbe impedito l’ingresso nell’azionariato di un investitore attivista quale si sta rivelando Tether, pronto a pungolare gli Agnelli sui social e addirittura a “provocare” Exor con un’offerta di acquisto da 1,1 miliardi di euro (più debito), giudicata dai più bassa alla luce delle valutazioni di altri top club europei.



















































La proposta «provocatoria»

La proposta di Tether è stata certamente irrituale tanto che qualcuno sospetta si tratti soprattutto di una trovata pubblicitaria che, facendo leva sulla popolarità del calcio, mira a far conoscere la più diffusa stablecoin al pubblico italiano ed europeo. In questi casi, in effetti, di solito l’aspirante compratore contatta prima l’azionista di maggioranza e, soltanto se e quando ha trovato un accordo con la “proprietà”, annuncia un’offerta pubblica d’acquisto sull’intero capitale dell’azienda quotata. L’emittente della più diffusa stablecoin ha invece preferito rivolgersi direttamente al mercato in puro “stile cripto” e ha imposto anche un termine al 22 dicembre a Exor per accettare. Facendosi peraltro avanti in un momento delicato per la cassaforte degli Agnelli-Elkann, alle prese con la cessione del gruppo Gedi, proprietario dei quotidiani Repubblica e La Stampa, che – a detta dei vertici – perde oltre 30 milioni annui (per un confronto, la Juventus ne ha persi 850 in cinque anni).

Il no secco di Exor

Al cda della holding sono servite meno di 24 ore per respingere prontamente la proposta, chiarendo anche per bocca del suo amministratore delegato, John Elkann, che la Juventus non sarà venduta a terzi, inclusa – rimarca con malizia la nota di Exor – la società salvadoregna Tether. L’impressione è però che la partita fra il vecchio capitalismo degli Agnelli e il nuovo capitalismo del duo Devasini-Ardoino non sia finita e che Tether continuerà a farsi sentire: se non riuscirà a conquistare la proprietà della Juventus, tenterà di conquistare il cuore dei tifosi contrariati per i risultati sportivi deludenti del club.

Le ipotesi di delisting

Tutto ciò non sarebbe accaduto se Exor avesse ritirato la Juventus dalla Borsa – cosa che, peraltro, le avrebbe consentito di gestire un’eventuale cessione del club lontano dai riflettori di Piazza Affari e massimizzando l’incasso. E allora perché la holding non ha optato per l’addio a Milano in questi anni, scoprendo il fianco all’iniziativa di fondi attivisti e di Tether? Si possono soltanto azzardare ipotesi. Di certo, il delisting di un club non è affare semplice dal momento che nel capitale figurano una miriade di piccoli azionisti tifosi, restii a cedere le loro quote nella squadra del cuore e a rinunciare alla possibilità di presentare le loro rimostranze alla dirigenza durante le assemblee annuali (basti ricordare le difficoltà dei Friedkin nel togliere la Roma dal listino di Milano). 

Il calcio in Borsa

La quotazione ha poi consentito di ridurre l’esborso in capo a Exor per i quattro aumenti di capitale, anche se la holding avrebbe potuto facilmente trovare risorse da fondi terzi anche al di fuori di Piazza Affari. Forse, allora, la ragione principale dietro l’ostinazione borsistica di Exor sta nella ritrosia a riconoscere – come ha sostenuto qualche tempo fa l’ex presidente della Consob Giuseppe Vegas – «che è fallito un modello, un progetto»: quello di portare il calcio in Borsa. D’ora in poi, con il pressing di Tether, sarà in ogni caso impossibile per Exor condurre la Juventus fuori da Piazza Affari. 

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14 dicembre 2025 ( modifica il 14 dicembre 2025 | 13:50)