di
Maurizio Porro
La filmografia del grande regista ucciso
Come in un giallo horror del suo amato Stephen King, il regista Rob Reiner, nuovayorkese del Bronx classe 1947, è scomparso dalla scena dove era attivo dalla fine degli anni 60: cinema, teatro e tv, autore e attore con una vena di famiglia per il brillante e il grottesco.
Suo padre Carl Reiner è stato un principe della commedia, ha diretto la biografia di Buster Keaton e ha lanciato il talento di Steve Martin (“Lo straccione”, 1979). Rob, il figlio, ha seguito e ampliato il lavoro paterno, allargando gli orizzonti dei generi di Hollywood e iniziando come attore televisivo (premio Emmy per la serie “Arcibaldo” del ’71) ma poi anche con Woody Allen (“Pallottole su Broadway”), moltiplicando le sue funzioni, comprese quelle di produttore.
I germi della commedia li ha ereditati e lo dimostra con il suo grande successo “Harry ti presento Sally”, 1984, sceneggiato da Nora Ephron, con la famosa scena nella tea room in cui una ragazza dice alla cameriera “Vorrei lo stesso che ha preso la signorina”, dopo la simulazione di un orgasmo. Ma, per voltare completamente pagina, Reiner si dedica poi alla riduzione di un romanzo di King, “Stand by me”, con la canzone di Ben E. King che si riflette nel titolo, storia tenerissima, nostalgia di prima mano, di una breve lunga vacanza in Oregon nel 59 di un gruppo di 12enni che si trovano davanti a un intrigo da risolvere: tra gli attori il giovane River Phoenix, ma anche Kiefer Sutherland e Richard Dreyfuss.
Reiner ha sempre molto valorizzato il parco attori del cinema americano che stava uscendo dall’area mitica degli ani d’oro, dando preziose occasioni a commedianti dei sentimenti come Meg Ryan e Billy Crystal, ma anche alla diabolica Kathy Bates che sequestra il povero scrittore James Caan in “Misery”, che questo sceneggiato dal grande William Goldman: un romanzo intelligente di King e un film assai cattivo, un thriller claustrofobico per cui la Bates vinse l’Oscar.
In onore di King fonda la produzione Castle Rock, cittadina immaginaria inventata dallo scrittore. E intanto gira un evergreen, il successo fantasy della “Storia fantastica”, per entrare nel mondo magico delle avventure da raccontare al nipotino, film che gli vale nel 1999 la Stella sulla Hollywood Walk of fame. Ma nella sua storia eclettica c’è anche una commedia non banale come “Non è mai troppo tardi” con due anziani e ricchi malati terminali, Jack Nicholson e Morgan Freeman, che si permettono un’ultima avventura on the road, scoprendo se stessi. Un copione melò che ha il pregio di dosare la commozione secondo giusti binari. Jack Nicholson è ancora nel film da tribunale militare “Codice d’onore” in cui tre avvocati, tra cui Tom Cruise e Demi Moore, tentano di scagionare due marines accusati di omicidio, dicendo che hanno solo eseguito gli ordini di un patologico colonnello.
E ancora i sentimenti intrecciati, l’andata e ritorno dell’amore col parere degli analisti, in “Storia di noi due” con Bruce Willis e Michelle Pfeiffer al top del divismo; e “Vizi di famiglia”, commedia sulla nascita del libro e del film “Il laureato”; quindi una grande famiglia borghese americana, con un trio d’assi come Kevin Costner al fianco di Jennifer Aniston e della gloriosa nonna Shirley Mac Laine, oggi 91enne. E poi, per dimostrare che la sua satira si sposta anche ai piani alti, c’è “Il presidente”, 1995, che è la storia del presidente vedovo e democratico Michael Douglas in pieno conflitto di interessi per la relazione sentimentali con la fervente ecologista Annette Bening, mentre si appresta a far votare due leggi importanti: è il gioco politico delle tre carte, lo spirito di Frank Capra aleggia, tutto è divertente, forse un filo troppo, certo che oggi un film così alla White House sarebbe impensabile, ma comunque la sua America è già un Paese dove puoi facilmente trovare lo psicotico della porta accanto.
15 dicembre 2025 ( modifica il 15 dicembre 2025 | 11:03)
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