di
Danilo di Diodoro
Le persone multilingue non solo hanno migliori prestazioni a livello di attenzione e memoria e minori possibilità di sviluppare l’Alzheimer, ma dimostrano un’età biologica inferiore a quella reale
Con l’avanzare di sistemi di traduzione automatica, anche simultanea, già presenti all’interno dei cellulari, la motivazione per l’apprendimento delle lingue potrebbe diminuire. Ma restare agganciati solo alla propria madrelingua potrebbe essere un errore, almeno dal punto di vista delle probabilità di invecchiamento in buona salute. Uno studio pubblicato sulla rivista Nature Aging indica che l’apprendimento di una seconda lingua è correlato a tre anni in più di invecchiamento in buona salute, mentre chi resta ancorato solo alla lingua madre si trova in una condizione che risulta correlata alla perdita di cinque anni di invecchiamento in buona salute.
Non si tratta del primo studio che mette in evidenza i benefici cognitivi dell’apprendimento delle lingue. In passato è già stato dimostrato che le persone multilingue hanno migliori prestazioni a livello di attenzione e di memoria di lavoro, e che sono capaci di cambiare compito in maniera più veloce. E presentano anche un minor rischio di sviluppare malattia di Alzheimer.
A monte di questi benefici c’è un incremento della cosiddetta neuroplasticità, l’abilità del cervello di rimodularsi lungo tutto il corso dell’esistenza, purché adeguatamente stimolato. E l’apprendimento delle lingue induce modificazioni a livello cerebrale, ad esempio un aumento di densità della sostanza grigia in alcune zone chiave, come il nucleo caudato, uno dei nuclei della base implicato in funzioni di apprendimento e di regolazione emotiva.
Ma questo nuovo studio va ben oltre i soli effetti sulla plasticità cerebrale, coinvolgendo di fatto l’intero organismo. Lo studio è stato realizzato da un gruppo di ricercatori europei coordinati da Agustin Ibañez, del Global Brain Health Institute del Trinity College di Dublino.
Il gruppo ha esaminato dati riguardanti i fattori di rischio e i fattori protettivi conosciuti, riguardanti oltre 80.000 persone di età tra i 51 e i 90 anni, provenienti da 27 diversi Paesi europei. I dati sono stati valutati tenendo conto di possibili fattori di confondimento di interpretazione, come livello di scolarità, funzione cognitiva, svolgimento di attività fisica. L’età biologica dei partecipanti, stimata costruendo un modello di orologio biologico-comportamentale che usa tutti i fattori di rischio e protezione noti, è stata confrontata con l’età reale. Trattandosi di uno studio con metodologia osservazionale, i ricercatori hanno potuto rilevare solo l’esistenza di una correlazione e non di un rapporto causa-effetto certo tra il multilinguismo e l’aumento di anni di invecchiamento in salute, ma il dato è certamente molto suggestivo.
Eric Topol, uno dei ricercatori più citati al mondo nell’ambito della Medicina, autore del recente libro Superagers – an evidence-based approached to longevity dice di questo studio: «Tra le sue limitazioni va segnalato che i risultati valgono per i Paesi europei, nei quali il multilinguismo è più diffuso, e potrebbero non essere rappresentativi di altre parti del mondo. Inoltre, l’informazione sul multilinguismo è stata raccolta dai dati nazionali e non a livello di singolo individuo, e non si sa con precisione da quando ognuno fosse multilingue né il suo livello di conoscenza delle altre lingue. In ogni caso la ricerca, anche se presenta alcuni punti deboli, eleva il multilinguismo a una posizione di alto rispetto in quanto fattore modificabile per un invecchiamento in salute, ben al di là delle sole modificazioni che può indurre a livello cognitivo sulle quali ci si era focalizzati finora». Il commento di Topol termina con una nota personale: «Io non sono multilingue, sebbene abbia studiato francese all’università. Adesso sono rammaricato di non averlo continuato e sto davvero pensando di ricominciare a studiarlo e utilizzarlo».
15 dicembre 2025
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