di
Chiara Severgnini
La docuserie «Icons – Harry Potter», su Sky, offre l’opportunità di sbirciare dietro le quinte dei film tratti dai romanzi di J.K. Rowling
Arriva Natale, e nelle case degli italiani torna a fare capolino Harry Potter. Negli ultimi anni, la saga cinematografica tratta dai romanzi di J.K. Rowling (editi in Italia da Salani) è entrata nel novero dei riti televisivi natalizi irrinunciabili per molte famiglie. E il Natale 2025 non farà eccezione: i sette film con le avventure del maghetto saranno disponibili su Sky Cinema dal 20 al 31 dicembre, pronti per essere (ri)visti tra una fetta di panettone e l’altra.
Per chi non si accontenta dell’ennesimo rewatch, poi, c’è Icons – Harry Potter, il documentario in quattro episodi – diretto da Brian Volk-Weiss e Alyssa Michek – che offre l’opportunità di sbirciare dietro le quinte dei film (disponibile in prima visione su Sky Documentaries con due episodi ogni sabato dal 13 dicembre alle 21.15, in streaming su NOW).
Attraverso numerose interviste ai «maghi dietro ai maghi» – per citare il documentario stesso -, la docuserie permette di scoprire come hanno fatto produttori, registi, direttori di casting, montatori ed esperti di effetti speciali a trasformare i romanzi di Rowling in pellicole cinematografiche capaci di incantare il pubblico più esigente in assoluto: i piccoli fan di Harry Potter.
Icons – Harry Potter mette in chiaro una cosa: per certi versi, la storia produttiva degli otto film della saga è avventurosa quasi quanto il Torneo Tremaghi. La storia ideata da Rowling è complessa di per sè, ma soprattutto è piena zeppa di incantesimi, creature magiche e prodigi che andavano trasposti sullo schermo nel migliore dei modi possibili.
Come se non bastasse, la casa di produzione se l’è dovuta vedere anche con errori, sfide logistiche, lotte intestine sul set, costi astronomici e tanti, tantissimi imprevisti. ll collage di interviste, filmati di backstage e spezzoni del film realizzato dai registi del documentario permette di ricostruire tutto questo – e di scoprire alcune curiosità poco note. Ne abbiamo selezionate alcune.
Il gran rifiuto di Spielberg
Nel 1997, la Warner Bros è stata abile nell’aggiudicarsi i diritti dei romanzi di J.K. Rowling, mettendo le mani su una gallina dalle uova d’oro destinata a fruttare ben 7,7 miliardi di dollari (almeno per ora). Per riuscirci, però, ha dovuto cedere ad alcune richieste dell’autrice, che ha preteso di conservare un discreto controllo sul casting.
In particolare, Rowling ha imposto alla casa di produzione di scritturare, per i ruoli principali, soltanto attori e attrici britannici (con le parziali eccezioni degli interpreti di maghi stranieri, come quelli che partecipano al Torneo Tremaghi nel quarto film della saga).
Sulla regia, però, Rowling non ha posto alcuna condizione. Warner Bros ha così proposto il soggetto a Steven Spielberg, che però – sorprendentemente – ha rifiutato. Secondo lui, l’adattamento cinematografico de La pietra filosofale sarebbe stato «troppo facile» da girare: «Come sparare ai pesci in un barile» (equivalente americano di “rubare caramelle a un bambino”, ndr).
A quel punto, la casa di produzione ha contattato altri registi per saggiare la loro disponibilità e il loro interesse al progetto. Dopo numerosi colloqui, a spuntarla fu Chris Columbus, che aveva già maturato una buona esperienza con gli attori bambini dirigendo Mamma ho perso l’aereo e Mrs. Doubtfire.
Il fact checking dei bambini
I registi del documentario lo mettono in chiaro da subito: «Questa è la storia di un gruppo di adulti che hanno ascoltato i bambini». La frase rende giustizia agli sforzi fatti da Columbus per valorizzare i suoi giovanissimi attori (Daniel Radcliffe, che interpretava Harry Potter, aveva 11 anni quando ha iniziato a girare il primo film della saga; Rupert Grint/Ron ne aveva 12 ed Emma Watson/Hermione solo 10).
Ma c’è di più. La figlia di Columbus, Eleanor, era un’avida lettrice della serie di romanzi di J.K. Rowling e i suoi consigli sono stati decisivi nel persuadere il padre a prendere le decisioni giuste sul set. E lo stesso vale per il figlio del produttore esecutivo Michael Barnathan. Se la cicatrice di Harry Potter ha l’aspetto che tutti conosciamo, in particolare, è merito suo: era con il padre quando il cast stava per girare la scena in cui viene mostrata per la prima volta, e ha protestato perché non corrispondeva al modo in cui viene descritta da Rowling nel romanzo. Risultato: Columbus gli ha dato ragione e i truccatori l’hanno modificata.
I bambini hanno avuto un’influenza notevole anche sul casting. Per esempio, sono stati i figli di David Bradley a convincerlo a fare il provino per il ruolo di Gazza. Lo hanno anche aiutato a preparare la parte, permettendogli di calarsi nei panni del custode di Hogwarts nel migliore dei modi.
Effetti speciali, candele e Quidditch
Dal punto di vista degli effetti speciali, la saga di Harry Potter ha rappresentato un’autentica sfida. E se è vero che la computer-grafica ha risolto molti problemi – soprattutto negli ultimi film della saga, i più recenti – è vero anche che per restituire un senso di verosimiglianza alle magie ideate da Rowling la tecnologia, da sola, non poteva bastare.
Certo, in alcuni casi è stata effettivamente salvifica, come per la Sala Grande di Hogwarts, che nel romanzo di Rowling è illuminata da centinaia di candele sospese magicamente a mezz’aria. In un primo momento, Columbus tentò di usare delle candele vere, appese a fili così sottili da risultare invisibili, ma fu un disastro: andavano accese manualmente una per una, e cadevano di continuo, con enormi rischi per cast e troupe. Alla fine, venne convinto a girare le scene ambientate in Sala Grande senza candele, per poi farle aggiungere in post-produzione.
Ben più complicato fu trovare un modo di girare la partita di Quidditch, però. Uno degli esperti di effetti speciali intervistati dice senza mezzi termini che fino a Harry Potter e la pietra filosofale, le scene di volo sulla scopa, al cinema, avevano sempre un aspetto «ridicolo». Come rendere giustizia allo sport preferito dai maghi? Dopo tante false partenze (e un bel po’ di turbolenze sul budget, decisamente più alto del previsto), la soluzione è stata trovata coreografando in modo puntigliosissimo la scena della partita di Quidditch – «la sequenza più difficile del film», secondo l’esperto di effetti speciali Robert Legato – e usando una sorta di “toro meccanico” per far riprodurre agli attori le movenze giuste.
Non va dimenticato, comunque, che la sfida degli effetti speciali era anche meramente quantitativa: Harry Potter e la pietra filosofale, ad esempio, ha avuto bisogno di ben 1600 inquadrature con effetti visivi, contro le 60 di Jurassic Park, le 150 di Apollo 13 e le 500 di Titanic.
I diritti degli attori bambini
Girare un film con attori bambini non è mai semplice: i giovani interpreti vanno diretti con pazienza e tatto, soprattutto se sono alle prime armi o quasi. In più, non va dimenticato che la legge impone alle produzioni cinematografiche di tutelarne i diritti dal primo all’ultimo giorno di riprese: i bambini non possono lavorare per più di quattro ore al giorno e devono avere a disposizione, oltre ai classici camerini, anche spazi per mangiare, riposare e studiare.
Nel caso di Harry Potter, tutte queste esigenze andavano moltiplicate all’ennesima potenza, perché in alcune giornate di lavorazione sul set erano presenti – tra attori e comparse – centinaia di attori minorenni. Warner Bros non ha però avuto scelta: ha dovuto attrezzare gli studi con tutto il necessario, allestendo anche delle vere e proprie aule scolastiche.
Per non rischiare di rimanere indietro con le riprese (scandite da rigidissime tabelle di marcia), la produzione ha inoltre assunto tre controfigure per Radcliffe, Watson e Grint, così da poter girare, se necessario, per otto ore al giorno senza violare la legge. Tra le tante accortezze, anche quella di dover chiedere ai genitori degli attori l’autorizzazione prima di procedere con determinate iniziative. Per esempio: dato che sul finire delle riprese del primo film al giovane Radcliffe erano spuntati i suoi primi baffi, la produzione ha dovuto chiedere il permesso ai suoi genitori per tagliarglieli.
L’ex fabbrica di aerei militari trasformata in Hogwarts (e non solo)
Per girare una saga complessa come quella di Harry Potter, c’è voluto un set cinematografico ad hoc. In parte per comodità, in parte per la necessità di adempiere alle già citate normative sul trattamento degli attori minorenni, in parte per poter conservare i set più complessi – dalla Sala Grande a Diagon Alley – così da poterli riutilizzare per i film successivi.
Non va dimenticato che quando sono iniziate le riprese di Harry Potter e la Pietra Filosofale, nell’autunno del 2000, Rowling stava ancora scrivendo il quinto libro! La location prescelta, dopo vari sopralluoghi, fu insolita: Leavesden Aerodrome, una ex fabbrica di aerei da guerra che risaliva alla Seconda Guerra Mondiale e che sorgeva a Watford, nell’Hertfordshire.
Oggi i Leavesden Studios sono una vera e propria attrazione, con tanto di tour guidati, ma le testimonianze raccolte nel documentario sono unanimi: nel settembre del 2000, quando sono iniziate le riprese, erano decisamente poco ospitali, con spifferi, perdite di acqua che colavano dal soffitto e un’assenza quasi totale di riscaldamento negli spazi più grandi. Curiosità: il primo giorno di riprese fu il 29 settembre e la scena da cui tutto iniziò fu, paradossalmente, quella conclusiva del film.
15 dicembre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA