Il più importante quotidiano economico americano, The Wall Street Journal (appartenente al gruppo Murdoch, ma con un’indipendenza editoriale comprovata), non ha mai fatto sconti a Donald Trump sui due punti decisivi della sua politica economica: i dazi e l’immigrazione. Il WSJ rimane fedele a un’altra tradizione del partito repubblicano, il liberismo del presidente Ronald Reagan negli anni Ottanta (che però fece vistose eccezioni alzando barriere contro il Giappone); sull’immigrazione il quotidiano è in sintonia con gli interessi del capitalismo americano che l’ha sempre considerata una risorsa.

In questo contesto è degna di nota l’autocritica in prima pagina con cui il giornale si avvia alla chiusura del 2025: un elenco di previsioni che aveva fatto, e che si sono rivelate errate



















































La categoria che ne esce più intaccata nella sua credibilità è quella degli economisti. Ci sono pure delle previsioni sbagliate da parte di Trump. Il bilancio è imparziale da tutti i punti di vista, non risparmia nessuno. Il bilancio è interessante perché lascia intuire che il 2025 si chiuderà con un’economia americana in buona salute, a differenza della sua principale rivale: è la Cina che sta frenando, anche per un calo dei suoi investimenti. 

La revisione autocritica sulle previsioni sbagliate da parte del WSJ ha un interesse specifico per l’Italia, in quanto il made in Italy non ha subito la temuta débacle, l’anno si chiuderà con risultati soddisfacenti anche grazie alla tenuta dell’export verso gli Usa, che si confermano (post-dazi) il principale mercato di sbocco per le nostre merci dopo l’Unione europea. Ecco alcuni estratti significativi dal Wall Street Journal.

«Nei giorni successivi al Liberation Day (l’annuncio della prima ondata di dazi, ndr), il contrasto tra l’ottimismo di Trump e le previsioni ben più cupe di esperti di commercio ed economisti è apparso evidente. Mentre imprese e consumatori cercavano di orientarsi tra messaggi contraddittori, il presidente ha rilanciato con forza le promesse fatte durante la campagna presidenziale del 2024. “I mercati esploderanno, la Borsa esploderà”, ha dichiarato il 3 aprile. Economisti e leader d’impresa, invece, hanno intensificato gli allarmi. Larry Fink, amministratore delegato di BlackRock, ha affermato: “La maggior parte degli amministratori delegati con cui parlo direbbe che probabilmente siamo già in recessione”. JPMorgan Chase ha sostenuto che una recessione globale era probabile. 

Un collasso economico non si è materializzato. Ma non si è vista neppure una rinascita economica. L’economia statunitense ha retto. Le probabilità di una recessione nel prossimo anno sono scese sotto il 25 per cento. La promessa di Trump sul gettito dei suoi dazi si è in parte avverata. Altre si sono rivelate infondate. Negli Stati Uniti si sono visti pochi segnali di un rimpatrio su larga scala delle produzioni. Il costo del lavoro più basso all’estero continua a dare un vantaggio ai produttori stranieri, mentre l’incertezza interna sui dazi ha frenato molti investimenti rilevanti e il ritorno delle attività manifatturiere in patria… A settembre gli Stati Uniti hanno creato 119.000 posti di lavoro, molti più di quanto si aspettassero gli economisti. Ma il dato rappresenta un’eccezione rispetto ai mesi precedenti, in cui la crescita occupazionale era stata debole. A settembre il tasso di disoccupazione è salito al 4,4 per cento, il livello più alto degli ultimi quattro anni. Gli economisti ora non escludono che i dazi possano portare a più assunzioni in futuro…

Le paure peggiori sull’inflazione non si sono avverate. Da mesi l’inflazione si aggira intorno al 3 per cento, sopra l’obiettivo del 2 per cento fissato dalla Federal Reserve, ma comunque inferiore a quanto molti economisti temevano. I dazi incidono su una fascia relativamente ristretta di prezzi al consumo; il costo delle abitazioni e della benzina ha contribuito a mantenere sotto controllo l’inflazione complessiva. Un altro fattore è rappresentato dai continui cambi di rotta di Trump sulla politica tariffaria. Molte aziende hanno dichiarato di voler attendere di capire quale sarà l’assetto finale dei dazi prima di introdurre aumenti di prezzo. Il ricorso ancora pendente alla Corte Suprema sull’autorità di Trump di imporre dazi fornisce un ulteriore motivo per aspettare. Se non verranno annunciati nuovi dazi, la Fed stima che quelli attuali impiegheranno nove mesi per propagarsi pienamente nell’economia. Ciò potrebbe far scendere l’inflazione dei beni nella seconda metà del 2026. Ma, come ha ammesso il presidente della Fed Jerome Powell, “non siamo stati in grado di prevederlo con precisione. Nessuno lo è”…

Gettito dei dazi per il Tesoro Usa

Su questo punto l’Amministrazione può rivendicare un successo: i dazi hanno effettivamente prodotto entrate significative. Tra aprile e settembre le casse federali hanno ricevuto in media 25 miliardi di dollari al mese in dazi doganali. Nel 2024, la media mensile era stata di 6,6 miliardi di dollari. Trump si è però dimostrato meno lungimirante su un’altra previsione ambiziosa. “Potrebbero sostituire l’imposta sul reddito”, ha detto ad aprile. Nell’anno fiscale 2025 il totale dei diritti doganali raccolti ha raggiunto circa 195 miliardi di dollari, più del doppio dei 77 miliardi dell’anno precedente. Nel 2024, le imposte sul reddito delle persone fisiche hanno invece generato 2.400 miliardi di dollari, circa la metà delle entrate federali complessive.

Crescita economica: i dazi non hanno affossato l’economia. Anzi, nel secondo trimestre il Pil ha registrato la crescita trimestrale più forte degli ultimi due anni, con un tasso annualizzato del 3,8 per cento corretto per l’inflazione e la stagionalità. Il terzo trimestre è sulla stessa traiettoria, intorno al 3,5 per cento. All’inizio del 2025 pochi economisti hanno previsto che il boom degli investimenti nell’intelligenza artificiale avrebbe spinto l’economia oltre qualsiasi effetto negativo dei dazi. Il conseguente rialzo dei mercati azionari ha a sua volta sostenuto la spesa dei consumatori, un motore fondamentale dell’economia. …

Gli importatori statunitensi stanno pagando meno del dazio dichiarato su molti prodotti, poiché hanno sostituito beni soggetti a dazi più elevati con altri meno tassati, talvolta cambiando paese di approvvigionamento. Il tasso effettivo è aumentato solo all’11,2 per cento. Nel 2024 il tasso effettivo era intorno al 2,5 per cento. …

Il deficit commerciale americano è aumentato bruscamente a marzo, quando le imprese si sono affrettate a fare scorte prima dell’entrata in vigore dei dazi del “Liberation Day”. È poi crollato ad aprile, dopo l’introduzione del dazio globale di base del 10 per cento. A settembre il deficit dei beni si è ridotto a 79 miliardi di dollari, in calo rispetto agli 86,1 miliardi di agosto. È stato il livello più basso da circa cinque anni…»

15 dicembre 2025