di
Fabrizio Roncone

I due leader e la prova del palco di Atreju. L’ex premier, l’attacco a Casellati e l’intervento di Crosetto che lo afferra sotto le ascelle

Quando da qualche parte è annunciata la presenza di Renzi&Calenda, i giornali mandano sempre almeno due cronisti. Se poi ne hai uno bravo e svelto con il microfono, tipo Nino Luca, mandi pure lui. Più i fotografi. Più devi tenere d’occhio i siti, i social, le agenzie. La coppia è capace di numeri strepitosi.

Tutti sappiamo che le stagioni di grazia, in politica, vanno e vengono. Ma non per loro. Hanno pochissime carte in mano e guidano partitini (Italia viva e Azione) che boccheggiano, strutturalmente, tra il 2% e il 3%, una volta avanti uno, il mese dopo avanti l’altro: eppure Renzi&Calenda si muovono e comportano come sultani da milioni di voti. Anche sul palco di Atreju, l’altro giorno.



















































Guardate: andiamo sempre troppo di fretta. Dosi eccessive di cronaca battente ci costringono a voltare pagina con frenesia. Così però ci perdiamo sempre qualcosa.

Sfoglio gli appunti presi appena pochi mesi fa.

Renzi: «Le sorelline della Garbatella capiranno presto cosa significa incontrare il vero cavaliere nero» — citando, minaccioso, la famosa barzelletta di Gigi Proietti.

Calenda: «Giorgia? È la versione burina del Ku Klux Klan».

Ma poi quei furbacchioni di Fratelli d’Italia li invitano alla faraonica festa allestita intorno a Castel Sant’Angelo e loro, Renzi&Calenda, meravigliose facce toste, vanno e si prendono la scena (capito, Elly, come si fa?).

Renzi, vabbè, lo conoscete. Di sentimenti misteriosi, abile a elargire simpatia e antipatia, litiga e perdona, sempre sicuro e rapido di pensiero, vanitoso e permaloso, con qualche amicizia rischiosa (tra cui bin Salman), di rara intelligenza, di rarissima spregiudicatezza (troppa, è chiaro, a giudicare dai risultati finali), dotato di quel noto talento assoluto e sprecato, lui per primo consapevole d’essere — come pure gli riconoscono tanti osservatori — il più bravo di tutti dal punto di vista tecnico, nell’immaginare politica, nello spiegarla, nella sublime arte dell’inciucio e dell’accordo bizantino: ecco che Renzi, sabato, è andato a dire alla combriccola governativa che lo aspettava sul palco nel panel delle riforme, tutto quello che c’era da dirgli. Quasi da leader dell’opposizione. «È evidente che volete cambiare la legge elettorale perché avete paura di perdere in certi collegi. Non è un caso, del resto, che il rilancio sia avvenuto mezz’ora dopo aver letto gli exit poll di Decaro e di Fico». Così: diretto. Poi, mentre la folla ondeggiava, mugugnava, e c’era pure qualche fischio: «Adesso, tra l’altro, votate la legge sull’Autonomia di Calderoli… Solo che quando al governo c’ero io, Meloni le regioni voleva abolirle. Dopodiché, se Calderoli riesce a realizzarla, che almeno non sia una porcata come le altre che ha già fatto». A questo punto Calderoli salta in piedi, è furioso, s’intravede un dito medio alzato. Ma Renzi, placido e graffiante, con un mestiere immenso: «Calderoli è quello violento della gang bang… Su, calmati Robertino… Rimettiti seduto, e non dire cazzate».

Poi dovreste andare a vedervi su YouTube come ha trattato la ministra Casellati. «Non voterò mai — le soffia tutto serio Renzi — una legge che dice “elezione diretta del premier” e che invece non prevede l’elezione diretta del premier». Lei, inviperita, sgambetta, urla, gli s’avvicina: «Mi hai detto che sono falsa!». Baruffa, i buuu dei militanti, un mezzo putiferio, finché sul palco non arriva Guido Crosetto, che — per sdrammatizzare — da dietro afferra Renzi sotto le ascelle, e lo tira su.

È politica? Non fate gli schifiltosi. Parliamoci chiaro: è da anni che siamo dentro una certa deriva pop. Più o meno, da quando Benigni prese in braccio Berlinguer. Poi abbiamo avuto l’accelerazione imposta da Berlusconi. E vi sarete accorti che anche Giorgia Meloni, domenica, ha aperto il comizio di chiusura saltellando come una rockstar. Perciò pure quello di Renzi è un modo per esserci. E funziona. Certo: non porta voti. Ma lo tiene sulla scena. Per questo poi lo incontri nei backstage di tutti i talk tivù. E sui quotidiani infila un’intervista a settimana. In cui commenta il caso Almasri («Il governo usa il diritto come Instagram»); parla di tennis («Palazzo Chigi metta giù le mani dalla Finale di Torino»); denuncia il genocidio dei cristiani in Nigeria; critica la Fiorentina sull’orlo della B («Firenze non merita questo scempio»); invita Silvia Salis alla sua Leopolda, lanciandola — di fatto — nel possibile mischione delle primarie.

 Soprattutto, però, Renzi è uno dei pochi (oltre a lui: Franceschini, Prodi, Bettini e poi boh) con l’autorevolezza necessaria per indicare la strada al centrosinistra («Menare, menare, menare sulla legge di Bilancio! E poi creare, subito, un centro più forte e senza veti. La destra si può battere»).

Che gli puoi dire a Calenda? Come ha scritto Giuliano Ferrara sul Foglio, è il ritratto della persona perbene, irascibile spesso per buoni motivi, incline al gin tonic con la società civile, a starsene comodo in un fondo di moralismo valdese («Mia madre Cristina è valdese»), ma poi certe volte sceglie i tempi e i modi dell’agire tradito da un egocentrismo pericoloso. È anche duro, originale, pieno di fantasia. Una volta si fece fotografare in boxer da bagno, sullo sfondo un paesaggio alpino: laghetto, neve, una baita. «Chi l’ha detto che solo i sovranisti fanno il bagno nell’acqua ghiacciata?».

Nell’ultimo anno è stato fortemente sospettato di avere cambiato idea sulla regina Giorgia. Non più burina. Ma, di colpo, «su alcuni punti, condivisibile». Il che ha aperto la mazurka del grande sospetto: si appresta ad entrare in maggioranza prendendo il posto della Lega? Non sfugge che per un grande partito con ambizioni nazionalpopolari — come quello che ad Atreju è riuscito a tenere insieme Gianfranco Fini, Gianluigi Buffon e Mara Venier — un tipo come Calenda sarebbe un alleato piuttosto funzionale. Calenda lo sa. E, un po’, ci gioca. Dice e non dice. Smentisce simpatie, ma poi smentisce di aver smentito. Così, l’altro giorno, sul palco dei Fratelli, forse non per caso, chi è che ha attaccato con forza e precisione? Ma Salvini, ovvio.

C’è stato allora un applauso, lungo e caldo. E poi grida di evviva, e un entusiasmo contagioso anche quando alla fine è sceso e ha attraversato la folla dei militanti.

In redazione, in via Solferino, hanno avuto solo un dubbio: il titolo lo facciamo su Renzi o su Calenda?


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15 dicembre 2025 ( modifica il 15 dicembre 2025 | 21:41)