Per tre notti consecutive, la giornalista del New York Times mi ha seguito nei miei giri notturni a caccia di scoop in quella Roma magica che tutto il mondo ci invidia. E io, orgoglioso cicerone nella Città Eterna, schizzando da via Veneto a Piazza Farnese, da piazza Navona a Castel Sant’Angelo, da Campo de’ Fiori a Piazza del Popolo, mi sono sentito come tante altre volte l’ambasciatore della Grande Bellezza all’estero: dopo la pubblicazione dell’articolo sul prestigioso quotidiano americano, mi stanno chiamando da tutte le parti del mondo! Ed è una sensazione esaltante. Cambiano infatti le epoche, si susseguono le mode e i personaggi famosi si avvicendano alla velocità della luce: un tempo erano i divi di Hollywood, oggi lo scettro è passato alle star dei social ma non posso fare a meno di domandarmi se domani gli influencer lasceranno qualche traccia. E il nostro lavoro di paparazzi cambia pelle, sempre più insidiato dagli smartphone. Ma rimane immutato il fascino che Roma sprigiona con le sue mille strade, le piazze cariche di storia, i suoi segreti e i suoi protagonisti che io da oltre un sessantennio cerco di catturare per Il Messaggero con la mia macchina fotografica per fissare una magia, un momento, uno scoop o una situazione irripetibile. Anche a costo di prendere le botte e di finire all’ospedale, come mi è capitato tante volte nel corso della carriera.

Avevo 14 anni quando sbarcai a Roma dalla natìa Calabria in cerca di fortuna: parlavo solo il dialetto, l’italiano l’avrei imparato lavorando ma la voglia di raccontare Roma, che mi folgorò il primo giorno, era talmente forte che mi ha spinto ad andare avanti e aiutato a superare ogni ostacolo o incidente di percorso. E oggi ho la fortuna di lavorare per Il Messaggero, un giornale che ha il gusto della notizia perché è fatto per i lettori. In tutto il mondo sono conosciuto come il “King dei Paparazzi” e la giornalista del New York Times era curiosa di sapere come si svolgesse il mio lavoro. Così l’ho portata con me e con mia moglie Antonella, complice e collaboratrice preziosa della mia “caccia”: la notte usciamo insieme e spesso è lei che, con la scusa della toilette, va in avanscoperta nei ristoranti o nei locali per poi avvertirmi della presenza di eventuali “prede”. E io entro in gioco, scattando senza chiedere il permesso: si scrive privacy, si legge provaci. La guerra è guerra.

Il New York Times ha scoperto che i romani partecipano con entusiasmo alla mia caccia. Tutti mi conoscono e molte volte sono i tassisti a fornirmi le “dritte”: «Barillà, stasera ho portato Tizio al tale albergo, corri che ancora lo becchi». E io mi fiondo pronto a piazzare il colpo. Poi ci sono i negozianti, i ristoratori, i portieri degli alberghi, quelli dei night club. Così qualche settimana fa, quando Robert de Niro è venuto a Roma per lanciare il suo nuovo albergo, ho saputo che era andato a mangiare in una trattoria di Trastevere con il regista Paolo Sorrentino. Sono piombato là e ho immortalato in esclusiva i due premi Oscar a tavola mentre attaccavano i carciofi alla romana.

LA CARRIERA

In oltre sessant’anni di carriera ho inseguito le star, fotografato Papa Giovanni Paolo II che giocava a bocce, documentato i grandi delitti, le manifestazioni politiche e le scellerate azioni dei terroristi. Mentre Roma si trasformava. Iniziai a lavorare quando furoreggiava la Dolce Vita e la sera a Via Veneto potevi incontrare star come Liz Taylor o Frank Sinatra mentre l’Appia Antica era diventata un covo di celebrità come Soraya e Gina Lollobrigida che, appostandomi dietro una siepe, riuscii a fotografare. Oggi la Dolce Vita rimane il marchio di un tempo che non c’è più, gli anni Sessanta, e che è inutile tentare di resuscitare. Poco male. La Dolce Vita ha lasciato il posto alla Vita Dolce che, malgrado i problemi o i disagi, Roma sa garantire ai suoi abitanti e ai visitatori che continuano a venire numerosi.

Per Vita Dolce intendo l’umanità, il calore e l’accoglienza che contraddistinguono la Città Eterna fondendosi con le sue meraviglie storiche e architettoniche. Un mix unico al mondo che incanta gli americani, ma non soltanto loro. Mi chiedono spesso qual è lo scoop che sogno. Io rispondo: il prossimo che farò. Continuo a credere nel mio mestiere malgrado sia sempre più difficile praticarlo: un po’ perché i cellulari rischiano di bruciare qualunque esclusiva, un po’ perché la tecnologia sempre più sofisticata ci mette i bastoni tra le ruote. Un tempo le star erano felici di farsi fotografare da noi paparazzi, oggi le bodygard pagate per proteggerle utilizzano perfino il laser per impedirci di scattare.

Ma non smetterò mai di percorrere giorno e notte le strade della Capitale, consapevole delle sorprese che può riservare, per poi portare le foto al Messaggero. Nel mio archivio personale ne ho 750mila, molte delle quali inedite. Magari, tra dieci anni, ne farò un libro. Intanto continuo a inseguire il fascino di Roma. Felice di essere non solo un fotografo ma un paparazzo doc.


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